Orange Goblin – A eulogy for the damned

Una buona notizia: gli Orange Goblin sono vivi e vegeti. Gli inglesi bazzicano l’universo heavy da circa quindici anni, eppure conservano quall’aria da eterni giovani, nonostante l’approccio da band rigorosa e professionale, tutta lavoro & sudore. Ad animarli, un’incredibile dedizione alla musica che pare non corra mai il rischio di disgregarsi, malgrado lo scorrere del tempo. Una piccola istituzione del metal contemporaneo, insomma, vista la gavetta e i sette album di studio fin’ora pubblicati. A questo proposito, li avevamo lasciati nel 2007 con Healing through fire, un full-lenght granitico e corposo che si avventurava nei territori del concept-album a suon di riff e atmosfere plumbee. Ora, forti di una nuova etichetta discografica (la Candlelight Records) e di una ritrovata serenità interiore, Ben Ward (voce), Joe Hoare (chitarra), Martyn Millard (basso) e Chris Turner (batteria) affrontano, con A eulogy for the damned, il difficile passaggio alla piena maturità artistica.

La rotta musicale della band inglese sembra essersi leggermente spostata. Nell’arsenale dei quattro non ci sono più soltanto mitragliate stoner o improvvisi rallentamenti doom, come nel caso della bellissima The frog e della micidiale Death of aquarius. Il ventaglio delle possibilità stilistiche s’è fatto più composito, variegato, sebbene le nuove inflenze vadano ad inglobarsi all’interno di una scrittura ormai ampiamente consolidata. Il nuovo corso degli Orange Goblin è ben evidenziato dall’apertura pirotecnica affidata a Red tide rising, che pesta duro alla maniera dei Black Sabbath servendosi però della velocità tipica della New Wave Of British Heavy Metal. La band regala ottimi momenti anche quando punta su un mix di potenti linee chitarristiche e melodia, come in Acid trial, mentre le trame blues di Save me from myself suonano come un chiaro tributo alle sonorità southern dei Lynyrd Skynyrd, rilette secondo i principi standard del rock duro degli anni ‘80. Ecco lo “strappo” stilistico: mentre un tempo il gruppo sembrava imparentato, seppur alla lontana, con le sgradevolezze sonore degli Electric Wizard (per altro, compagni di etichetta alla Rise Above Records di proprietà di Lee Dorrian dei Cathedral), oggi si evidenzia una maggiore propensione per sonorità dirette, veloci e lineari, grazie anche alle belle melodie vocali cucite dal registro aspro di Ward.

Malgrado gli sforzi, gli Orange Goblin non sono ancora riusciti ad uscire dalla loro cerchia ristretta di accoliti. Con un pizzico di fortuna in più, canzoni così ben scritte avrebbero di sicuro trovato una popolarità molto più ampia. Ad ogni modo, se nei mesi scorsi avete ascoltato The hunter dei più noti Mastodon, sappiate che A eulogy for the damned merita lo stesso grado di attenzione. Anzi, qui forse c’è anche più qualità di quella che mediamente si ascolta in giro. Provatelo.

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