Woody Allen – Midnight in Paris

Allen l’europeo. Che il buon Woody sia sempre stato attratto dal vecchio continente è fatto risaputo. Non è solo una questione di location, quanto piuttosto di sensibilità artistica (vedi, ad esempio, lo splendido Match point). Ammiratore di Godard, Fellini, Bergman e Antonioni, il regista americano ha da sempre declinato le proprie nevrosi d’intellettuale ebreo in pellicole impregnate di un’autorialità che, in fondo, ha poco a che fare con Hollywood e molto con la scuola d’oltreoceano. Pertanto, anche alla luce delle recenti prove, un film come Midnight in Paris non deve stupire.

L’americano Gil, sceneggiatore di successo, è in vacanza con la sua fidanzata, Inez, nella capitale francese. Suo grande desidero è quello di abbandonare la carriera di screenwriter per dedicarsi al suo romanzo. Una sera, mentre passeggia per le rue della città, incrocia un’auto d’epoca i cui occupanti lo invitano ad unirsi a loro. Senza rendersene conto, Gil si trova catapultato nella Parigi degli anni ’20, dove ha l’opportunità di conoscere Scott e Zelda Fitzgerald, Ernest Hemingway, T. S. Eliot, Salvador Dalì, Gertrude Stein, Pablo Picasso e la sua affascinante amante, Adriana, di cui s’innamora perdutamente.

Al contrario di quanto potrebbe sembrare, Midnight in Paris è tutt’altro che un film nostalgico. La morale della pellicola è semmai all’opposto. Gil si rende conto di come la sua bohème sia inautentica: viverla significherebbe abdicare alla propria reale esistenza, che bella o brutta che sia è pur sempre la sola cosa che si possiede in pieno. Gil, pertanto, sceglie di tornare nel presente e di cercare lì la sua felicità, trovando la forza di liberarsi dallo sterile legame con Inez.

Dunque un Allen che medita sulla natura del senso di inadeguatezza (suo e, in fondo, di tutti noi contemporanei), approfittandone per omaggiare alcune delle figure di intellettuali che più ne hanno segnato il percorso di crescita interiore e divertirsi con anacronismi, citazioni, intrecci metalinguistici: tra le scene-cult, quella in cui Gil suggerisce ad un perplesso Buñuel il soggetto di uno dei suoi capolavori, L’angelo sterminatore (un po’ come Marty McFly che, in Ritorno al futuro, faceva sentire a Chuck Berry la sua Johnny B. Goode). Realtà ed immaginazione che si incontrano, insomma (ricordate La rosa purpurea del Cairo?), sullo sfondo di una città che riluce di pioggia primaverile e che Allen ammira (quasi) come faceva un tempo con la New York di Manhattan.

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