Stephen Malkmus and The Jicks – Mirror traffic

C’è Beck a far da produttore per questo nuovo lavoro di Stephen Malkmus, e si sente. Sia chiaro, non vogliamo sminure la paternità di Mirror traffic che, con il suo mix “indie” di pop, folk, blues, psichedelia, reca l’inconfondibile firma dell’ex Pavement. Tuttavia, l’impronta del “loser” per eccellenza dell’avant-pop degli ultimi vent’anni si sente, eccome. Non è tanto questione di qualche spunto occasionale (una tastierina qui, un fiato là, uno spruzzo d’indolenza snob), quanto piuttosto di tenuta, di compattezza, che differenzia Mirror traffic dal suo predecessore, l’ipertrofico e irrisolto Real emotional trash (2008). Beck, insomma, è riuscito ad incanalare l’energia creativa di Malkmus in forme coerenti, pur nell’estrema varietà di stili e registri adoperati. Cosa non da poco, sicuramente.

Eterogeneità e rigore “architettonico”, dunque, sono i tratti distintivi dell’album. Tigers è una frizzante nenia elettrica degna dei Pavement, No one is (As I are be) un placido folk acustico, mentre Brain gallop e All over gently sfoderano inflessioni blues. Il garage’n’roll ipercinetico di Tune grief, dal canto suo, fa da contraltare al delicato ¾ di Share the red e agli aromi West Coast neilyoungiani di Long hard book, la quale (a dimostrazione dell’imprevedibilità che percorre tutto il disco) bilancia una slide cullante con una coda finale iperfuzzosa, marchio di fabbrica inconfondibile di Malkmus. Il vertice dell’eclettismo Mirror traffic lo tocca con i 2′ e 38” di Spazz, concentrato di psichedelia e garage-rock in chiave progressive. Il folk-rock virato indie di Stick figures in love vanta una delle melodie migliori del full-lenght, la quale, dietro l’apparente vivacità, nasconde una discreta dose di depressione. Del resto, a un primo impatto anche l’uptempo di Forever 28 può apparire una sciocchezzuola, con quelle strofe caracollanti che tanto sarebbero piaciute ai primi Strokes: ed invece, nel ritornello e nella coda finale, il pezzo dimostra di possedere una ricchezza ed una varietà maggiori di quanto non sia lecito sospettare all’attacco. Completano il quadretto la graffiante irriverenza di Senator, la morbida abulia folk di Asking price (la più beckiana del lotto) e i riverberi “spaziali” dello strumentale Jumblegloss.

Mirror traffic, insomma, ci consegna un Malkmus in ottima forma, rinvigorito al punto tale che l’album non sfigura al cospetto di piccoli gioielli come Slanted and enchanted e Crooked rain, crooked rain. Certo, son passati vent’anni da quelle prime due release dei Pavement, ma il cantautore di Santa Monica, California, per lo meno sul piano dell’energia e della verve, pare davvero ringiovanito. La cura-Hanson, dunque, ha funzionato.

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