A volte ritornano. Era il 1999 quando i Primus pubblicarono il loro ultimo full-lenght, il trascurabile “Antipop”. Dopo, solo un EP (“Animals Should Non Tray to Act Like Peoples”) a tener desta l’attenzione su una band che sembrava destinata a sciogliersi definitivamente, sotto la spinta della miriade di progetti paralleli del suo leader indiscusso, Les Claypool. E invece, il 2011 segna il ritorno sulle scene del power trio americano, in una formazione che, peraltro, comprende, oltre al leggendario bassista, anche Larry LaLonde alla chitarra (subentrato nel 1988 a Todd Huth, co-fondatore della band assieme al “colonnello”) e lo storico batterista Jay Lane, fuoriuscito dalla line-up nel 1996 e rientratovi cinque anni dopo. Parliamo, in sostanza dello stesso tris d’assi che ha inciso, tra gli altri, album come “Frizzle Fry” (1990), “Sailing the Seas of Cheese” (1991) e “Pork Soda” (1993), dischi all’insegna di un funk-metal disarticolato e farsesco, che incorporava la lezione diMinutemen, Rush e Frank Zappa in partiture tanto complesse sul piano armonico/melodico quanto viscerali.
In una recente intervista, Claypool aveva descritto the “Green Naughayde” come un ritorno alle origini. Inutile dire che le cose non stanno così. Innanzitutto perché dopo vent’anni riappropiarsi della freschezza degli esordi è cosa impossibile; e poi perché il sound inevitabilmente risente del percorso solista di Les e, in special modo, di album quali “Big Eyeball in the Sky”(pubblicato nel 2004 a nome Colonel Claypool’s Bucket of Bernie Brains), “Of Whales and Woe” (2006) e “Of Fungi and Foe” (2009). Ci si ritrova così tra le mani una manciata di vignette che assimilano funk, metal, hard-rock, psichedelia, dub, elettronica e blues per generarne deliranti e sconnesse pièce cubiste. Una meticolosa operazione di scomposizione e riassemblamento che certo non è nuova per il gruppo ma che qui è portata alle estreme conseguenze: i brani sovente sprofondano in una vertigine segnica, inglobando nella loro tessitura minimalista, ossessivamente iterativa, un magma di citazioni e spunti da far girare la testa. Completano il quadro effetti e manipolazioni di ogni sorta, che distorcono il timbro degli strumenti (e le stesse vocals di Claypool) per cavarne coloriture altrimenti impossibili da ottenere, assecondando un mood (e questa è un’altra novità rispetto al passato) più spettrale, oscuro.
Hennepin Crawler è un ipnotico hard-funk percorso da deflagrazioni e disarmonie assortite. Eyes of the Squirrel, invece, mantra orrorifico che si sfalda progressivamente, fino al flusso schizofrenico di suoni “alieni” del finale. Un mix di cadenze blues e battiti in levare costituisce l’ossatura di Last Salmon Man (arricchita da cori grotteschi e volteggi heavy-psych della sei corde), mentre Jilly’s on Smack è un distillato di nevrosi a base di pulsazioni elettroniche, picking minimalisti, improvvise esplosioni e tribalismi. L’hard-rock zeppeliniano/sabbathiano di HOINFODAMAN, reso groovy dal solito slap iterato di Claypool e venato di sceneggiate isteriche, fa da preludio ad Extinction Burst, una sfrenata danza da pellerossa. Il funk-metal d’assalto di Tragedy’s a-Comin’ è arricchito invece da LaLonde da contrappunti orientaleggianti e contrasta con il clima di sospensione da incubo lisergico di Green Ranger. Che il nume tutelare dell’operazione sia Zappa lo dimostrano gli espliciti omaggi di Eternal Consumption Engine e Salmon Men: ma del maestro v’è traccia anche nel caracollante scherzo in levare post-sbronza di Lee Van Cleef.
Nel complesso “Green Naugahyde” è una rentrée più che dignitosa, anche se meno sorprendente di quanto, ad un primo ascolto, non possa sembrare. Lo schema destrutturante alla lunga risulta un po’ prevedibile, fino ad adombrare di sospetta autoindulgenza la pretesa imprevedibilità delle tracce. Per certi versi, si tratta del loro album più rarefatto. Niente a che vedere con la fisicità spinta di “Frizzle Fry”: l’impressione, a tratti, è di trovarsi dinanzi ad un saggio metalinguistico più che a un disco di musica vero e proprio. Ad ogni modo, un’operazione condotta con indubbia capacità, classe e, in alcuni momenti, talento cristallino.