Nanni Moretti – Habemus papam

Appena saputo che il conclave l’ha eletto Papa, il cardinale Melville (Michel Piccoli), protagonista del film di Nanni Moretti, prorompe in un grido disperato: un attacco di panico gli impedisce di affacciarsi al balcone di piazza San Pietro (atto fondamentale, perché ratifica la nomina). La situazione è gravissima, al punto tale che è necessario un aiuto psicologico: convocato d’urgenza, l’analista Brezzi (Moretti) fa quel che può dato il contesto (impossibile avere un colloquio riservato col neo-pontefice), ma ne ricava poco.

Consiglia allora di far visitare Melville da un collega che non ne conosca la reale identità. Il prelato viene quindi condotto fuori dal Vaticano, da una dottoressa, moglie di Brezzi (Margherita Buy), la quale gli diagnostica un “deficit d’accudimento”. La crisi del vecchio cardinale (spacciatosi per attore) sarebbe da ricondursi all’impressione, avuta in qualche momento della sua infanzia, di non essere stato amato. Comincia da qui l’odissea vera e propria di Melville, che si sottrae alla stretta sorveglianza del suo portavoce e prende a vagare per le strade di Roma, mentre nel frattempo in Vaticano Brezzi e i cardinali (tenuti all’oscuro di tutto) organizzano un surreale torneo di pallavolo con l’intento di allietarlo.

Emerge in Habemus papam, il ritratto non di un incapace (come Celestino V, il Papa del “gran rifiuto”) o di un vigliacco, piuttosto di un individuo terribilmente “umano”, fragile e smarrito come tutti. Ventisei anni dopo La messa è finita, il laicissimo Moretti torna a parlare di uomini di chiesa per raccontare le sue ossessioni, dalla solitudine al rapporto tra arte e vita. Queste ultime si con-fondono nel surreale incontro di Melville con una compagnia teatrale che inscena Il gabbiano di Čechov e, più in generale, nella dimensione di un potere “recitato”, ostaggio di ruoli e riti opprimenti, di cui il Caimano” del film precedente è l’istrione assoluto. Melville aspira a tornare dietro le quinte, tra la gente. Tutto Habemus papam è il dietro le quinte di quel cruciale balcone di piazza San Pietro, da cui l’uomo s’affaccerà, nel finale, ma solo per annunciare a tutti il suo addio.

Moretti ha fatto un film enigmatico, carico di sottintesi, brillante proprio per quel suo non essere mai esplicitamente, didascalicamente, un film politico, malgrado Melville rechi in sé i tratti e le nevrosi della contemporaneità. Una commedia intelligente e arguta, che maschera dietro un riso malinconico un vuoto spaventoso.

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