White Lies – Ritual

Eleganti come tre fotomodelli appena scesi da una passerella e agghindati come perfetti emuli dei mitici (e tanto saccheggiati) anni Ottanta, i White Lies s’inseriscono nel filone revival della new-wave britannica più ombrosa e pessimista. Se già il debutto, “To Lose My Life” (2009), ne aveva messo in evidenza i limiti e le carenze dal punto di vista sia formale che contenutistico, questo “In Ritual” certifica la convinzione che il trio di Ealing, Inghilterra, sia afflitto da un’inguaribile mancanza di vivacità creativa, complice anche una produzione patinata e smisuratamente sensazionalistica.

Le dieci tracce dell’album procedono tra ammiccamenti ai ritmi ballabili in stile New Order/Depeche Mode e atmosfere cupe che ricalcano lo smarrimento esistenziale di Joy Division e The Sound, ma non riescono nemmeno per un attimo e neppure per sbaglio a regalare un lampo di personalità, a svincolarsi, con un improvviso colpo di reni, dalle ombre dei giganti degli 80’s. Persino i più flebili momenti di luce, come Peace & Quiet o Strangers, soffrono di una patologica mancanza d’identità, mentre altri episodi come Is Love o Bigger Than Us risultano irrimediabilmente fiacchi in termini di qualità espressa, condizionati sempre da venature esageratamente ruffiane.

Appare dunque evidente come, una volta terminato il celeberrimo quarto d’ora di celebrità, i tre ragazzi inglesi finiranno per essere totalmente dimenticati insieme a tutto questo finto rinascimento new-wave, fatto di umori fittizi e di simulazioni patetiche sprovviste dell’autentica drammaticità degli artisti originali. La sorte che spetterà ai White Lies, insomma, sarà probabilmente accumunabile a quella di molte altre band. Del resto, è già accaduto in passato: i Rapture, ad esempio, dove sono finiti?

Insomma, se i White Lies fossero attori comici sarebbero degli imitatori esemplari, ci strapperebbero anche qualche risata e forse meriterebbero persino un premio, ma purtroppo la loro seconda prova artistica risulta asfissiata da tanti stereotipi, priva di idee e braccata da un passato troppo glorioso per essere rimodulato in chiave moderna con tutta questa sfacciata leggerezza. In una sola parola: trascurabili.

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