Albert Hughes, Allen Hughes – Codice Genesi

I libri possono cambiare le persone. Salvare anime, corrompere spiriti. I libri possono causare guerre, distruggere intere civiltà. O essere le fondamenta su cui erigerne di nuove. La questione è vecchia e se ne sono occupati in tanti: Ray Bradbury, ad esempio, nello splendido Fahrenheit 451, “cronaca terrestre” di un potere totalitario che soggioga le masse drogandole di tv e pubblicità e distruggendo i libri. Alla barbarie si oppone un piccolo gruppo di resistenti, che coltiva in segreto l’amore per la letteratura imparando a memoria i testi, nella certezza che, un giorno, sarebbe arrivato il «tempo della costruzione».

Esattamente con l’Eli protagonista di Codice Genesi di Albert e Allen Hughes (From hell – La vera storia di Jack Lo Squartatore). Da trent’anni, dopo l’investitura ricevuta da una “voce”, l’uomo custodisce l’ultimo esemplare della Bibbia, sul quale vuole a mettere le mani Carnegie, signorotto di un piccolo villaggio desideroso di governare su quello che resta del mondo, devastato da una guerra nucleare anni addietro. Carnegie, infatti, è convinto che solo con il testo sacro dei cristiani e il suo potente messaggio di speranza potrà piegare al proprio volere le masse, nate per lo più dopo la guerra e dunque cresciute nell’ignoranza della religione. Eli, dal canto suo, cerca invece di raggiungere la costa Ovest, dove, da un piccolo avamposto sull’isola di Alcatraz, sta nascendo una nuova società: da lì potrà diffondere il verbo.

Lo spunto alla base del film dei fratelli Hughes non è dunque originalissimo, ma è peggiorato da un uso massiccio di stereotipi, che spaziano dai cliché mistico-religiosi (Eli come Elia, il profeta; il viaggio verso Ovest come metafora del cammino interiore) a quelli della fantascienza cinematografica (lo scenario desolato alla Mad Max). Neppure i personaggi sono particolarmente attraenti: Eli è l’archetipo del monaco-guerriero, disposto a massacrare senza pietà e a voltare lo sguardo dall’altra parte quando è necessario, salvo poi vestire ipocritamente i panni del santone; Carnegie il cattivissimo che vuole dominare il mondo e che finirà con l’avere pan per focaccia.

C’era la possibilità di riflettere sul rapporto tra oralità e tradizione scritta, e sul ruolo della religione nella società post-moderna, e invece no, gli Hughes hanno messo in piedi uno spettacolone tutto fotografia ad effetto ed eccessi “action” (la telecamera che si insinua persino nei fori delle pallottole e non sta ferma un istante), ed in cui i passaggi interlocutori più che intensi risultano semplicemente noiosi. Bravi come sempre Denzel Washington nei panni del protagonista e Gary Oldman in quelli di Carnegie, ma non basta.

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