Santo Barbaro – Lorna

Da un lato, i cocci della storia, di quel Novecento che, rapido e terribile, ha lasciato cumuli di disperazione e tante domande, ancora inevase, sul nostro destino; dall’altro l’ansia, il desiderio, la speranza di futuro. È densissimo il nuovo lavoro di Santo Barbaro. Dall’immigrazione e dal mito del confine, con tutti i risvolti terribili che esso produce, al centro di Mare morto (2008), si passa qui all’esplorazione di un mondo interiore come una prigionia auto-inflitta: un cambio di prospettiva, nulla più, ma che produce suggestioni inedite e variazioni importanti sul piano formale.

Le tredici ballate di Lorna affondano saldamente le radici nel folk, ma l’acqua che le nutre è elettrica ed elettronica. Non balla nessuno apre il viaggio (perché di questo si tratta: di un’Odissea tra scenari possibili) sulle immagini del colpo di stato in Uruguay: si muove circospetta, carica di tensione, e nel finale scatena la tempesta. Le percussioni de L’uomo del sogno, la sua nenia dilatata, l’elettronica sinuosa ed acida, testimoniano l’influenza dei Radiohead: una coerenza inattaccabile le permette di sedersi accanto a Su una scia di polvere, un po’ Cohen e un po’ De Andrè. Del resto, non avesse ben salde le redini della propria ispirazione, Pieralberto Valli non potrebbe accostare impunemente il cantautore genovese a Nick Drake e CCCP, come accade ne Il naufragio.

La condizione di cui ci parla Santo Barbaro è quella dell’uomo post-moderno: bloccato, asfissiato, un’ombra vuota che precipita «nel paradiso della paura» (Lorna). La poesia, il sogno, sono gli strumenti di una rivoluzione che, per essere efficace, deve necessariamente essere muta (Piloti di seppia), deve nascere, cioè, da un riconoscimento reciproco. Il rischio, altrimenti, è quello di sbagliare bersaglio («la tirannia», Lorna). Quello di cui parla Valli, insomma, è un rinnovamento radicale, che parta da dentro e da lì contagi tutto. Esattamente come accade al tessuto musicale di questo secondo album, che accresce quell’apertura senza timori verso ciò che è “altro” che già contraddistingueva Mare morto. Così si spiegano la drum’n’bass di Carosello I, l’electro-rock della title-track, il beat strascicato de Il vuoto: è una musica, questa, che reclama i propri spazi vitali al di fuori degli stereotipi e delle convenzioni, dei muri eretti dal conformismo, sempre più simile all’inferno.

Con Lorna, insomma, Valli ci regala la chiave per fuggire dalla nostra comoda, confortevole cella, dal nostro microcosmo asettico. Al di là delle considerazioni etiche, la sua è un’operazione estetico-poetica di altissimo livello, che lo pone tra i massimi cantautori italiani in circolazione.

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