Villagers – Becoming a jackal

Un drone d’organo, gli archi sognanti, un pianoforte romantico. Poi i versi: «Have you got just a minute? / Are you easily led? / Let me show the backroom / Where I saw the dead / Dancing like children on a midsummer morn / And they asked me to join». Comincia così Becoming a jackal, l’album con cui Conor O’Brien, ex The Immediate, battezza il nuovo monicker, Villagers. E con i primi versi di I saw the dead comincia anche un viaggio fiabesco, un’immersione in un mondo di fantasie infantili colto sul punto di venir travolto dal passaggio alla maggiore età (il “diventare uno sciacallo”, appunto). O’Brien parla un linguaggio che unisce, in maniera personale, folk, indie e post-rock e pop anni ’60. Ad ascoltare la title-track, ad esempio, sembra di essere al cospetto di Simon & Garfunkel riletti da Elliot Smith. Altrove, invece (Ship of promises), gli archi ed un twang chitarristico un po’ retrò, subito corretti da un fuoco di sbarramento ritmico, fanno pensare ad un mix di Arcade Fire e Bright Eyes.

Tutto il disco, in effetti, gioca su quest’alternanza di tenera malinconia e ardore, di dolcezza e disillusione. Luce ed ombra, insomma: emblematico, in tal senso, il valzer orchestrale di Pieces, che sul finale cede platealmente alla nevrosi. Altrove, invece, l’inquietudine lavora sottopelle, si manifesta magari in un saliscendi di basso o in un bridge irrituale (That day), o nell’amaro commiato venato di jazz di Set the tigers free. Pur nutrendosi di stilemi ed influenze diversissime, le undici tracce non sbandano quasi mai, e soprattutto non cedono all’autoindulgenza. Home, per buona parte punta tutto su una nenia accennata da un piano e sull’accompagnamento della chitarra acustica, ma quando sceglie di crescere lo fa con decisione e, soprattutto, naturalezza. The meaning of the ritual, dal canto suo, è un toccante lamento orchestrale («My love is selfish / And I bet that yours is too / What is this peculiar word called truth»), mentre The pact (I’ll be your fever), pur con il suo passo esplicitamente anni ’50, conserva una freschezza ed una sincerità non comuni.

Twenty seven strangers e a To be counted among man perdono un po’ di tensione, come schiacciate dal peso di una malinconia non completamente elaborate. Nonostante questo, però, Becoming a jackal rimane un lavoro più che riuscito, la scoperta di un talento genuino, di una voce poetica fuori dal comune. Villagers: un nome da tenere ben a mente.

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