Edward John Trelawny è l’autore del volume “Gli ultimi giorni di Byron e Shelley”, portato in libreria in queste settimane da Quodlibet. La Prefazione è di Dino Baldi e la traduzione di Marcella Majnoni e Giuseppe Lucchesini.
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«La perfezione si raggiunge solo a tratti e per brevissimo tempo. Se si vuole essere ricordati come esseri perfetti, la vita deve essere un transito rapido, e quella di Shelley, per come la descrive Trelawny, incarna la divina disumanità della giovinezza, fatta di una vitalità talmente prorompente da trasformarsi in disprezzo per la vita».
Gli ultimi giorni di Shelley e Byron
Shelley muore nel 1822 a poco meno di 30 anni, travolto da una tempesta nel golfo di La Spezia, nel momento in cui nessuno può mettere in dubbio l’integrità della sua anima. Byron muore nel 1824 a poco più di 36 anni, consumato da una febbre mentre, con l’anima ormai compromessa dalla vita, era in Grecia per sostenere la guerra d’indipendenza.
Trelawny, amico e compagno di avventure di entrambi, ne racconta gli ultimi mesi fino alla morte, ed è un frammento di vite parallele di due uomini nati uguali e fatti diversi dal tempo che li divide, seppure non così diversi da non riconoscersi e potersi specchiare l’uno nell’altro.
Il resoconto che queste memorie ci lasciano è una fonte insostituibile per conoscere la quotidianità, le conversazioni, le letture dei due grandi poeti. È anche un esempio del più alto romanticismo, nel suo intreccio di lirismo e aspirazioni rivoluzionarie.
L’eroe di questa epopea è il puro, impulsivo, ingenuo, generoso, solitario Shelley, l’aspirante marinaio che non sapeva nuotare, il santo laico la cui fine è narrata in pagine indimenticabili: il terribile naufragio, il ritrovamento del corpo sulla spiaggia, il falò notturno con cui il gruppo di giovanissimi amici brucia i resti del poeta, Trelawny stesso che affonda le mani nella cenere per prelevarne il cuore miracolosamente intatto e consegnarlo alla vedova, Mary Shelley (le ceneri saranno invece sepolte a Roma, nel «cimitero degli inglesi»). Su Byron il giudizio è più ambiguo: il suo indubitabile genio è offuscato da un carattere talvolta meschino, irresoluto e opportunista, di attore che recita sé stesso. Ma a lui rimane la qualità preziosa di cogliere gli aspetti comici e ridicoli dell’esistenza, prima di tutto la propria.
L’autore
Edward John Trelawny (1792-1881) è stato un biografo, romanziere e uomo di mare inglese. A soli tredici anni venne arruolato dalla famiglia nella Royal Navy, e si dice che sia stato poi corsaro al servizio della Francia. La sua fu una esistenza lunga e avventurosa e tuttavia l’aver conosciuto Shelley, esserne stato l’amico, sarà il fatto più importante della sua vita, più delle scorribande nell’Oceano Indiano o dei combattimenti contro i turchi. I suoi due unici libri divennero subito dei classici: Adventures of a younger son, uscito nel 1831, conobbe un successo tale che Alexandre Dumas lo pubblicò in appendice alle sue opere complete. Gli ultimi giorni di Shelley e Byron (1858) lo impose come uno dei massimi conoscitori dei due poeti romantici e come testimone d’eccezione di quell’epoca mitica. Dopo la morte, secondo le sue volontà, le sue ceneri vennero inumate a Roma, accanto a quelle di Shelley.
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