Dal 28 novembre scorso in libreria per Adelphi due importanti novità. Raymond Chandler con una nuova edizione de Il grande sonno, e John M. Hull con Il dono oscuro.
LEGGI LA RECENSIONE DE IL GRANDE SONNO DI RAYMOND CHANDLER
Raymond Chandler – Il grande sonno
È sempre l’ultimo incarico, per Philip Marlowe. Ma quello che gli abbiamo affidato stavolta, forse, è il più delicato. Sì, perché deve prendere tutto il décor e tutti i ferri del suo mestiere – le palme e il vento caldo di Los Angeles, la penombra minacciosa di interni sfarzosi e lo sfarfallio dell’acqua nelle piscine, il crepitio delle pistole e quello ancora più letale dei lamé –, aggiungerci il suo fuori campo in confondibile, e rimetterli al posto delle storie spesso ovvie raccontate da migliaia di suoi epigoni, in quell’universo narrativo opaco cui è stato attribuito d’ufficio un nome che non gli apparteneva: il noir. Sì, stavolta Marlowe deve riportare le lancette all’anno in cui tutto è cominciato, il 1939, e al luogo da cui tutto il resto ha tratto origine: questo romanzo. E per fortuna tutto fa pensare che ci riuscirà – o che fallirà magnificamente, come solo lui avrebbe potuto.
John M. Hull – Il dono oscuro
Ci sono libri che sembrano sottrarsi a ogni giudizio o classificazione, perché parlano da un luogo così distante che è difficile anche solo individuarne la fisionomia. Sono porte che si aprono su altri mondi – mondi nei quali, senza di loro, ci sarebbe impossibile entrare. Libri come questo, straordinario, di John M. Hull: una delle più precise e asciutte testimonianze su che cosa significhi quel particolare stato della vita e della coscienza che chiamiamo cecità – dalle operazioni quotidiane a quelle più complesse –, scritta in forma di diario da un uomo che non è nato cieco ma lo è diventato a quarant’anni.
Hull però non si limita a raccontare la sua lenta discesa verso la cecità: parte da questa per arrivare alla sobria descrizione di qualcos’altro, che chiama «il dono oscuro». Uno stato ultimo e molto raro, in cui la mente recide ogni residuo legame con i suoi fantasmi perché li dimentica, diventa incapace di tradurre tutte quelle approssimative informazioni che il mondo le invia attraverso gli altri sensi e non può fare altro, per sopravvivere, che inventare un nuovo linguaggio, o altrimenti sprofondare in sé stessa.
«Non c’è mai stato, che io sappia, un resoconto altrettanto minuzioso, affascinante (e insieme spaventoso) di come non solo l’occhio esterno, ma anche “l’occhio interno” svanisca progressivamente a causa della cecità» ha osservato Oliver Sacks. Che aggiunge: «se Wittgenstein fosse diventato cieco, avrebbe scritto un libro come questo».