Roberto Rossellini – Roma città aperta

Con Roma città aperta (1945), Roberto Rossellini inaugura la “trilogia della guerra”, poi proseguita con Paisà (1946) e Germania anno zero (1948), segnando una distanza con il cinema americano classico. Il regista italiano non cerca di raccontare la storia di qualcun altro con cui immedesimarsi, piuttosto narra la storia del popolo italiano.

Roma città aperta registra il tragico periodo dopo la Seconda guerra mondiale. Dopo la caduta del fascismo, in attesa dell’arrivo delle truppe americane, Roma diviene teatro dello scontro tra le forze della resistenza e la furiosa fermezza dell’esercito tedesco. La pellicola in bianco e nero ferma storie comuni e purtroppo amare. Quello di Rossellini è un cinema nuovo, che si aggancia con crudezza alla realtà (neorealismo). Il cuore del film è la scena della tragica morte di Pina (interpretata da una sublime Anna Magnani), massacrata dai colpi di fucile dei soldati nazisti durante il prelevamento del suo compagno, Francesco, sospettato di un attentato. Il “vammoriammazzato!” rivolto ad un tedesco dalla donna registra l’anticipo della tragedia come fosse una condanna definitiva, togliendo perfino il respiro allo spettatore, che rimane immobile: un grido silenzioso di fronte alla morte di Pina. Ne sentiamo ancora il fiato disperato della corsa verso qualcosa di non afferrabile, di non raggiungibile. Rossellini ci consegna tutto questo con tragica amarezza, senza aggettivi di contorno.

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Nella pellicola, Roma rappresenta un paese intero, occupato, mutilato, ferito: è incarnazione della perdita, della crudeltà della guerra e del male. Ciò che rende la pellicola ancora più tragica è l’umanesimo di Don Pietro (Aldo Fabrizi), che assiste inerme, tra un misto portentoso di odio nei confronti del nemico e la consapevolezza della fede, alle torture all’ingegner Manfredi (Marcello Pagliero). Rossellini scioglie nei fotogrammi una perdita della speranza e una crisi della coscienza, racconta l’impotenza, il disarmo morale. La ferocia raggiunge il massimo livello di crudeltà nel momento in cui Maria Michi viene quasi costretta ad un rapporto saffico con una tedesca. Gli sguardi rimangono attoniti, asciutti, il dolore non lacrima, rimane cicatrizzato sulle rovine laceranti della storia.

La verità che Rossellini mostra è cronaca diretta, registrazione dell’accaduto di cui sentiamo (portiamo) il peso sanguinante, irradiato da un dolore muto e rassegnato. Il regista non nasconde, anzi avverte l’urgenza ed ha il coraggio di descrivere la realtà senza filtri. Nel far questo, trasgredisce ogni regola e consuetudine: anche per questo, Roma città aperta è uno dei massimi capolavori del cinema.

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