Nagisa Oshima – Furyo

Definire il regista Nagisa Oshima come il “Pasolini nipponico” è una scelta coerente: i due autori hanno avuto in comune la volontà di affrontare nelle loro opere alcuni tabù della propria società, assumendo un deciso atteggiamento autocritico nei confronti dei rispettivi popoli. In particolare, la critica rivolta alla chiusa mentalità giapponese e la ferma contestazione contro la censura del sesso costituiscono lo spirito fondante del cinema di Oshima, il cui tono radicale, riscontrabile nei film dedicati a questioni sociali o morali, gli ha conferito la fama nazionale di autore controverso.

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Un caso peculiare è invece costituito dal film Furyo (parola giapponese per “prigioniero di guerra”). Nel 1983 Oshima si appoggia al produttore britannico Jeremy Thomas per girare un film di più ampio respiro, riguardante cioè l’incontro/scontro tra due civiltà, quella giapponese e l’occidentale: il risultato è uno dei suoi film più conosciuti e apprezzati a livello internazionale. Ispirato alla vera storia di un soldato dell’esercito inglese catturato dai giapponesi durante la Seconda guerra mondiale, Furyo racconta l’esperienza di un gruppo di prigionieri di guerra trattenuti in un campo di concentramento giapponese sull’isola di Java. La storia ruota attorno al rapporto che si instaura tra i quattro personaggi principali: da un lato due orientali, il marziale capitano Yonoi (interpretato dal compositore Ryuchi Sakamoto), amministratore del campo e l’impulsivo sergente Hara (Takeshi Kitano); dall’altro due prigionieri occidentali, il tenente colonnello John Lawrence (Tom Conti) e l’ufficiale neozelandese Jack Celliers (memorabile interpretazione di David Bowie).

Se Lawrence si dimostra un valido mediatore linguistico e culturale tra gli inglesi e i carcerieri orientali, Celliers d’altro canto col suo arrivo porta all’interno del campo il disordine, a partire dal profondo e conflittuale interesse che suscita la sua persona nel giovane Yonoi, un personaggio costruito con maestria da Oshima che lo rende uno dei perni della sua storia. Il film, nonostante la prigionia sia descritta con realismo, non consiste in una semplice cronaca di guerra. Si spinge infatti oltre, per affrontare situazioni legate piuttosto alla sfera dei rapporti e sentimenti umani: al regista interessa in particolare la resa esplicita di una sessualità socialmente non accettata e il film racconta infatti con toni ambigui lo sviluppo di un’attrazione inaspettata, quella cioè che si crea tra il tormentato Yonoi (che sotto la severa maschera di capitano ligio al bushido si sforza di nascondere la propria omosessualità) e l’affascinante ma ribelle Celliers. È infatti proprio il carismatico personaggio interpretato da Bowie a introdurre un elemento di entropia nella prigione, stimolando i sentimenti repressi di Yonoi e provocando i giapponesi.

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Caos contro ordine, animosità occidentale contro rigore nipponico: il film vede il continuo manifestarsi di questa antitesi, accentuata dal regista che, con spirito autocritico, ritrae l’insensatezza e l’anacronismo di quel rigido codice d’onore giapponese che porta i carcerieri a disprezzare i prigionieri e insegnare loro il vero significato dell’onore attraverso il rito dell’harakiri, il suicidio rituale. Ma in guerra è difficile individuare il carnefice e la vittima, discernere il torto dalla ragione: ognuno deve fare i conti con la proprie colpe. Oshima intende sottolinearlo e colloca al cuore del film una profonda critica all’homo homini lupus, causa di irrazionali conflitti tra uomini che potrebbero altrimenti vivere in amicizia. Furyo si chiude con una scena significativa: congedandosi dal suo ex carceriere Hara (condannato a morte dopo la vittoria alleata), un commosso Lawrence ammette che «Ci sono momenti in cui la vittoria è molto difficile da mandare giù». In risposta al «Good bye, Hara-san» di Lawrence, Hara sorride e augura un solare «Merry Christmas» all’uomo che fu suo nemico e prigioniero: Oshima, da grande maestro di cinema, riesce a racchiudere il messaggio profondo del suo film in questo semplice ma emozionante dialogo finale.

Furyo risalta come opera peculiare nella filmografia di Nagisa Oshima, un film capace di turbare e assieme commuovere lo spettatore. A renderlo immortale ci sono l’interpretazione di Bowie e la suggestiva colonna sonora, che dobbiamo considerare una delle più belle composizioni del cinema giapponese, firmata dallo stesso Sakamoto e contenente l’iconico brano Forbidden colours. Le sue note pervadono il film di un’atmosfera malinconica, capace di aggiungere molto ad una storia già di per sé altamente suggestiva e portatrice di un messaggio così importante da non avere età.

Durata
124 min. minuti
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