Takeshi Kitano – Sonatine

Con il suo Sonatine il regista giapponese Takeshi Kitano rientra a pieno titolo nella tradizione dello yakuza-eiga (“film sulla mafia”), presentando una visione assolutamente non convenzionale del mondo malavitoso nipponico. Questo genere si è prestato ad essere affrontato con i toni più vari dagli autori che lo hanno trattato: dal classico Lotta senza codice d’onore di Kinji Fukasaku, caratterizzato da scene di cruda violenza e una rappresentazione caotica dei rapporti tra i clan criminali, ai film art-house di Seijun Suzuki, arrivando appunto poi negli anni ’90 all’attività di Kitano, attore noto principalmente per ruoli comici. Inaspettato dunque il suo esordio alla regia con un film quale Violent cop, nel quale il regista interpreta un poliziotto cinico e privo di freni, di fatto più pericoloso degli stessi criminali che ha l’incarico di catturare. Questa personalità resterà una sorta di costante nei thriller di Kitano, che da allora interpreterà personaggi inespressivi, poco loquaci e potenzialmente molto violenti.

In questi termini potremmo descrivere anche il protagonista del successivo Hana-bi e di Sonatine, Murakawa, braccio destro di un importante boss mafioso di Tokyo. Questo film, si diceva, osserva la mafia da un punto di vista insolito: si configura come una sorta di riflessione sull’inutilità del conflitto tra famiglie malavitose e, di conseguenza, sulla condizione criminale in sé. I personaggi yazuka, Murakawa in particolare, sono l’immagine stessa della desolazione, pedine alla deriva in un mondo dominato da una violenza futile della quale è difficile disfarsi, una volta che vi si è abituati. La cinepresa di Kitano si sofferma sulla condizione di questo gruppo di sicari, rifugiatisi in una sperduta costa dell’isola di Okinawa dopo esservi stati mandati per una missione, in realtà una trappola organizzata dal loro boss per eliminarli. La pacifica zona costiera, nella quale il gruppo di criminali trascorre il tempo dedicandosi ad attività ludiche infantili e spensierate, è di fatto una sorta di proverbiale ultima spiaggia, capolinea di una vita passata all’insegna della violenza più estrema, che ormai sembra aver stancato persino lo spietato Murakawa.

sonatine

In questa visione nichilista di Takeshi Kitano prevalgono i tempi morti, le pause narrative, i dettagli insignificanti ai fini della narrazione (peraltro piuttosto scarna), il tutto accompagnato da una colonna sonora dal sapore vagamente onirico, firmata Joe Hisaishi . Sonatine procede piuttosto lentamente, trasmettendo un prolungato senso di attesa che lascia la sensazione di stare assistendo ad un qualcosa appartenente ad una dimensione cristallizzata, isolata dal resto del mondo. Una prima parte del film, ambientata per le strade violente di Tokyo, serve al regista per creare il netto stacco con questa parte successiva, interamente dedicata all’ambiente quasi metafisico della spiaggia, che si rivela essere un luogo di serena stasi per gli yakuza: il loro ritorno all’infanzia durante il gioco è forse il segno definitivo di una profonda crisi interiore, la cui sola soluzione sembra essere la morte.

Quella che in effetti resta stampata nella memoria dello spettatore è la grottesca scena della roulette russa, truccata da Murakawa al fine di renderla innocua ma da lui in seguito rivisitata in sogno con esito diverso, fatale: l’immagine di un ilare Murakawa con la pistola carica puntata alla tempia è forse il migliore simbolo di Sonatine, efficace metafora di una vita che, corrotta troppo a lungo da atti di violenza sanguinaria, sembra avere perso ogni ragione d’essere.

Durata
94 min. minuti
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