Il 2015 è l’anno di Pier Paolo Pasolini. A quarant’anni dalla morte, il ricordo dell’intellettuale italiano, ucciso all’Idroscalo di Ostia il 2 novembre 1975 è più forte che mai – nel bene e nel male, poche ore fa Gabriele Muccino non ha risparmiato le sue critiche al Pasolini regista. Numerosi sono i volumi già usciti o di prossima uscita, che ripercorrono alcuni momenti importanti della produzione e della vita di Pasolini: oltre al già citato Improvviso il Novecento di Giordano Meacci, vogliamo oggi ricordare anche La macchinazione di David Grieco e Pasolini, massacro di un poeta di Simona Zecchi, che riflettono, più che sulla vita personale e professionale di Pasolini, sulla sua morte.
Il primo (pubblicato da Rizzoli) è il soggetto di un film che uscirà a gennaio 2016, e di cui vi avevamo già parlato qualche tempo fa. Grieco fu amico e collaboratore del regista di Salò e proprio da lì, dal suo ultimo film, parte La macchinazione. Il film racconta gli ultimi tre mesi di vita di Pasolini, la realizzazione di Salò e le 120 giornate di Sodoma e la stesura di Petrolio. Ma, soprattutto, libro e film trattano la morte di Pasolini: l’omicidio del regista e scrittore presenta ancora molti punti oscuri e Grieco, uno dei primi ad arrivare all’Idroscalo nel ’75, tenta di ricostruire l’accaduto, fornendo alcuni dettagli inediti.
In Pasolini, massacro di un poeta, invece, Simona Zecchi rifiuta la tesi secondo cui Pasolini sarebbe stato ucciso in seguito a un incontro tra omosessuali finito in tragedia. Del testo, edito da Ponte alle Grazie, leggiamo: «Come nella Lettera rubata di Edgar Allan Poe, lo «schema perfetto» che condusse il poeta friulano fra le braccia dei suoi carnefici è sempre stato sotto gli occhi degli inquirenti e, in parte, dell’opinione pubblica: un oscuro attentato a pochi passi dall’abitazione di Pasolini la cui funzione viene finalmente svelata, un furto di bobine come espediente dai tratti inediti, la presenza di più macchine all’Idroscalo e la prova del doppio sormontamento del corpo ormai agonizzante, i testimoni che nessuno ha mai voluto veramente ascoltare, la matrice fascista dell’agguato, la direzione dell’intelligence nostrana, il ruolo depistante dell’enigmatico Giuseppe Pelosi, i tentativi di alcuni giornali, sempre ben informati, troppo informati, di trasformare Pasolini in imputato nello stesso processo che avrebbe dovuto stabilire l’identità dei suoi assassini».