Dan Gilroy – Lo sciacallo – Nightcrawler

Non possiamo non ammettere, noi contemporanei, di essere morbosamente attratti da tutto ciò che riguarda la violenza, la morte, l’orrore in senso generico. Il concetto di “turismo dell’orrore” è entrato nell’immaginario comune e non di rado amiamo lasciarci intrattenere da trasmissioni e video incentrati su rappresentazioni macabre che ci disgustano e, allo stesso tempo, ci attraggono. Chi lavora nell’ambito della comunicazione televisiva è ben cosciente di questa sensibilità del pubblico (evidente anche se guardiamo il successo di un genere cinematografico come l’horror) e sa comportarsi di conseguenza, al fine di soddisfare la domanda. Ecco allora la ricerca sfrenata della situazione sanguinosa, della sparatoria o magari della stessa morte che, quando ripresa in diretta, assume un valore reliquiario nel mondo di questa cinica informazione.

Il film Nightcrawler, opera prima come regista dello sceneggiatore Dan Gilroy, racconta l’avanzamento di carriera di uno di quei lavoratori freelance, cameramen soprattutto, che forniscono alle emittenti televisive la materia prima per i loro servizi, gareggiando per arrivare primi sul luogo di macabri scoop. Il nostro protagonista è Lou Bloom (interpretato da un bravissimo Jake Gyllenhaal, in un ruolo non certo facile), un personaggio ambizioso e amorale, pronto a tutto pur di aggiudicarsi il posto di principale fornitore di scoop per un telegiornale locale di Los Angeles, gestito dalla direttrice Nina Romina. Nina ha un’idea molto chiara di ciò che vuol distribuire nella sua trasmissione: «pensa al nostro TG come a una donna che urla correndo per la strada con la gola squarciata», così la donna presenta la propria politica televisiva a Lou, che viene prontamente assunto dopo aver mostrato alcuni crudi video di incidenti filmati nel cuore della notte.

nightcrawler

Nightcrawler ci conduce nel cinico mondo della cronaca di più basso livello, interessata più a stupire e inorridire lo spettatore che a raccontare il fatto in sé, seguendo una tendenza sensazionalista che è uno dei grandi difetti del giornalismo (non solo televisivo) odierno. È una tendenza certo perversa, nata sulla spinta di logiche di mercato che hanno messo da parte ogni etica e il personaggio di Lou, con la sua natura nevrotica e le sue “frasi fatte” di ridicolo stampo pubblicitario (da lui utilizzate come biglietto da visita), sviluppa la sua personalità in questo ambiente e ne riflette i lati peggiori, in particolare la totale mancanza di scrupoli e di umanità (chiaramente visibile nel rapporto “sentimentale” tra lui e Nina e nel rapporto lavorativo con il suo assistente).

Per quanto concerne la messa in scena, il film soddisfa sotto molti aspetti: particolarmente efficace è la fotografia, cupa e suggestiva come nei migliori noir contemporanei, firmata Robert Elswit, direttore della fotografia dei grandi film di Paul Thomas Anderson. Nota di merito anche per Jake Gyllenhaal, in una delle sue migliori interpretazioni dopo Donnie Darko, e per lo sceneggiatore/regista Gilroy, dimostratosi capace di gestire il suo esordio alla regia con sobria maestria, con una sceneggiatura non troppo ambiziosa ma sicuramente d’effetto (giustamente nominata agli Oscar 2015), in grado di intrattenere grazie ai suoi ritmi da thriller ma anche di far riflettere su alcuni oscuri aspetti che caratterizzano il mondo del giornalismo contemporaneo. Anche al di fuori del contesto americano.

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