Stefano Sollima – Suburra

Mancano pochi giorni al 12 novembre 2011, il giorno dell’Apocalisse. Tutto inizia a Roma in una notte di pioggia: l’onorevole Filippo Malgradi esce dal Parlamento e si dirige in un albergo, dove lo aspettano due prostitute. Seguono ore di sesso sfrenato e consumo di stupefacenti: in seguito, mentre l’onorevole sta urinando dal balcone sotto la pioggia, una delle ragazze, Sabrina, si accorge che l’altra è morta. Un incidente, che rischia di compromettere per sempre la carriera politica di Malgradi: l’uomo spaventato se ne va, lasciando alla escort il compito di risolvere il problema. Lei allora chiama il suo amico Spadino, fratello di Manfredi Anacleti, il boss di una famiglia di zingari che dal nulla si è fatta potente a Roma. Spadino aiuta Sabrina a portare via il cadavere della prostituta dall’albergo e a farlo sparire.

Purtroppo Spadino è ambizioso e decide di ricattare l’onorevole. Così Malgradi si rivolge a un suo collega, che a sua volta interpella un certo Adami, detto il Numero Otto, padrone indiscusso a Ostia. Quest’ultimo deve solo dare una lezione a Spadino e rimetterlo al suo posto, ma la situazione precipita e il Numero Otto compie un gesto che segnerà l’inizio di una terribile faida tra i potenti di Ostia e gli Anacleti. Intanto nella storia si inseriscono il Samurai, ultimo membro dell’ormai decimata banda della Magliana, e Sebastiano, un organizzatore di eventi che, una notte, assiste al suicidio del padre: a spingere l’uomo al gesto estremo sono stati i debiti, contratti proprio con gli Anacleti. Sebastiano è praticamente rovinato, in quanto erede del debito del padre: è costretto a cedere a Manfredi tutto quello che possiede, dalla villa in cui organizza le feste, alla macchina e la sua dimora.

Alessandro Borghi in "Suburra"

Con i “romanzi criminali” Stefano Sollima è ormai di casa e i risultati sono sempre garantiti: Suburra, tratto dall’omonimo romanzo di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini, è un lucido e impietoso ritratto della Roma che precede le dimissioni di Silvio Berlusconi, che mai viene nominato anche se il riferimento alla sua persona è più che ovvio. L’Apocalisse annunciata nel film finirà per coinvolgere tutti i personaggi messi in scena e c’è da dire che, alla fine, a ciascuno toccherà il suo: i corrotti, i violenti, gli ipocriti, i prepotenti, gli ambiziosi pagheranno le proprie colpe, il più delle volte con la vita stessa; a pochissimi è concessa la salvezza o la possibilità di una vendetta in grado di ristabilire un equilibrio, che renda giustizia a un torto subito. Numerose sono le differenze tra il libro e la pellicola, dai nomi dei caratteri alle dinamiche in cui sono coinvolti, senza contare che molti dei personaggi del libro mancano del tutto nell’opera di Sollima: resta centrale il grande progetto del Waterfront, questo monumentale complesso di alberghi, ristoranti e locali che trasformerà Ostia in una sorta di Las Vegas.

Adamo Dionisi e Pierfrancesco Favino

Gli attori sono tutti all’altezza dei rispettivi ruoli: ottimo come sempre Pierfrancesco Favino, nei panni del corrotto Malgradi; imperturbabile Claudio Amendola, ossia il Samurai che non riconosce più quella Roma che solo pochi decenni prima era in mano a Libano, Freddo e Dandi; particolarmente convincente Adamo Dionisi, ossia il crudele Manfredi Anacleti, a cui l’attore riesce a donare una maschera di terrificante cinismo e pura crudeltà, soprattutto nei confronti dello sventurato Sebastiano (il bravissimo Elio Germano). Ma Suburra è anche un film di giovani volti: da Giulia Elettra Gorietti, nei panni della escort Sabrina, alle eccellenti interpretazioni di Alessandro Borghi (il Numero Otto) e Greta Scarano (Viola, la sua compagna). In particolare, Borghi ci ha regalato in questo 2015 due interpretazioni davvero splendide e intense, la prima nel film postumo di Claudio Caligari, Non essere cattivo, e la seconda proprio col suo Numero Otto in Suburra.

Forse una delle scene più significative in Suburra è verso la fine, quando, dopo giorni di incessante pioggia, l’acqua inizia a fuoriuscire dai tombini: è un dettaglio che è ormai naturale associare al maltempo romano, anche se nel film la scena rappresenta simbolicamente quel marciume che per anni cova nel sottosuolo e che, progressivamente, viene a galla, a quel punto con un’energia e un’irruenza ormai incontrollabili. Nonostante tutto, pare pura illusione pensare a un’altra Roma: se cade Malgradi ci sarà sempre qualche altro politico pronto a raccoglierne il testimone, alla morte di un boss ci sarà sempre chi ne prenderà il posto e a una persona onesta ne corrisponderanno sempre dieci di sleali. In mezzo a questa massa terribile e implacabile sembra difficile trovare una speranza o anche il semplice desiderio di credere nella bontà del prossimo, anche se poi è chiaro che il mondo è fatto soprattutto di tanta altra gente, che con umiltà e sacrificio vive secondo le regole. Questa è l’umanità che va difesa, come cantava Vecchioni «anche restasse un solo uomo», perché non c’è gloria, se non fragile, non c’è futuro, se non incerto, per i personaggi di Suburra, che dall’alto del loro potere, e per colpa di quello stesso potere, sono destinati inesorabilmente alla rovina.

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