Matteo Garrone – Il racconto dei racconti

Il racconto dei racconti: il titolo scelto da Matteo Garrone per il suo ultimo film non è casuale. La pellicola, in concorso a Cannes (dove è stata accolta più che positivamente) è un frullato di archetipi fiabeschi. Si ispira ad un libro, Lo cunto de li cunti, di Giambattista Basile, che Calvino definiva “lo Shakespeare italiano”.

Temi, figure e ambienti sono universali. C’è la regina infelice perché non riesce ad avere un erede, la figlia di un re data in sposa ad un orco, la vecchia orribile che trascorre una notte d’amore con un sovrano sessuomane, il principe e il suo sosia popolano. Ci sono i draghi, i maghi e le streghe, i buffoni di corte; gli antichi castelli, le foreste intricate, le caverne oscure. Un immaginario non originale ma sempre suggestivo, che Garrone, grazie al suo stile visivo lunare, incantato, ha ricreato mescolando fantasy, fantastico e una punta di horror. Da questo punto di vista, il risultato è più simile a L’imbalsamatore e a Reality che a Gomorra.

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La struttura del racconto è circolare: Garrone si è ispirato a tre storie di Basile (La regina, La pulce e Le due vecchie) e le ha intrecciate dando vita ad un gioco di specchi, simmetrie e opposti, in cui tutto, alla fine, si annulla. La morale del film è esattamente questa: la compensazione. L’equilibrio del mondo non può essere alterato. La vita che la regina (Selma Hayek) tanto ardentemente vuole sentir crescere dentro di sé, la lussuria del sovrano (Vincent Cassel), il sogno di giovinezza delle due popolane (una è la Stacy Martin di Nymphomaniac), l’amore inseguito dalla figlia del re (Bebe Cave), il principe e il povero (Christian e Jonah Lees): tutto ha come conseguenza temporanea il suo opposto, da cui si giunge, infine, ad un nuovo equilibrio.

È facile, nell’universo incantato di Garrone, confondere amore e morte. Il racconto dei racconti è una fiaba, dunque anche l’orribile è meraviglioso: le scene con draghi squartati, donne scorticate, sgozzamenti e mostri alati non suscitano ribrezzo, al massimo inquietudine. Merito di una messinscena efficace, “corretta”. Tutto, in effetti, è corretto ne Il racconto dei racconti: ambienti, fotografia, sceneggiatura, morale. Quello che gli manca è la profondità.

Garrone, in questo, non è simile alla regina Selma Hayek: non ha avuto il coraggio di andare fino in fondo. Si è preoccupato troppo dell’impianto formale (l’equilibrio strutturale e di toni), sacrificando le emozioni, il cuore. Il risultato è un film di pregevole fattura artigianale, la via italiana (europea) all’epica fantasy anglosassone, ma non il film memorabile e totale che Il racconto dei racconti poteva e voleva essere.

 

 

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