Dai Radiohead a Tony Blair: ecco perché il Britpop è finito

Secondo alcuni (il giornalista John Harris, per esempio, e Graham Coxon), il Britpop ebbe inizio nel 1992 con i singoli Popscene dei Blur e The drowners degli Suede. Tuttavia, è innegabile che l’apice (almeno in termini di popolarità) di quella che, nelle sue prime propaggini, era stata definita “la scena che celebra se stessa” è rappresentato da Definitely maybe, il disco di debutto degli Oasis. Da allora sono passati vent’anni, e già da un po’ il Britpop non c’è più. Il declino, in effetti, era iniziato nel 1997: fu in quell’anno che la fortuna degli epigoni di Beatles, Kinks, Who e altri fenomeni della British invasion dei ’60 (senza dimenticare Bowie e gli Smiths) cominciò a mostrare segni di cedimento.

Dopo il ventennale della release di Definitely maybe (e di Parklife dei Blur, altro disco-simbolo della scena) e il ritorno in scena di “vecchie” gloria come Noel Gallagher (con Chasing yesterday) e di Damon Albarn e soci, per raccontarvi perché il Britpop è finito attraverso una serie di parole-chiave: “Radiohead”, “droghe”, “ego”, “ambizione”, “soldi”, “Cool Britannia”.

Radiohead

Nel 1997, gli Oasis pubblicarono Be here now, il loro album più controverso. Il disco sfoggiava una produzione ancor più chiassosa ed ipertrofica rispetto ai precedenti, un mood più lisergico e, complessivamente, una vena più sperimentale. L’album è abitualmente considerato il simbolo della crisi del Britpop, incalzato anche dall’emergere di un altro fenomeno: i Radiohead. Nel 1997 arrivò nei negozi Ok computer, il primo capolavoro della band di Thom Yorke, che con pezzi come Paranoid android, Let down e Exit music for a film, segnò uno stacco rispetto a Oasis, Suede e Blur, esplorando lo spettro emotivo della rabbia e dell’alienazione. Di fatto, è l’album che rappresenta il trionfo della vulgata indie-rock, che dominerà il decennio seguente.

Droghe

Anche in questo, i fratelli Gallagher sono un ottimo punto di partenza. Nel 1996, Liam Gallagher fu arrestato per possesso di cocaina, e in seguito anche il fratello Noel ha ammesso di averne fatto uso. Alan McGee, titolare della Creation Records, la label degli Oasis, ha raccontato che durante le session di Be here now la droga scorreva a fiumi: “Owen [Morris, il produttore del disco] era fuori controllo, e lui era al comando. Il volume della musica era fottutamente alto”. Di recente, sull’argomento ha offerto uno spunto (per qualcuno, polemico) Damon Albarn, che ha dichiarato come la sua dipendenza dall’eroina, negli anni ’90, l’abbia reso estremamente creativo e produttivo. Anche Jarvis Cocker, all’epoca di This is hardcore, il capolavoro dei Pulp (1998), era schiavo della droga: per lui, come per gli Oasis, il problema era la polvere bianca.

Ego

Il rock da sempre è inflazionato di ego giganteschi, ma nel caso del Britpop l’eccessiva concentrazione di prime donne sembra essere stata particolarmente dannosa. Le lotte tra i due fratelli Gallagher sono ormai leggendarie (Noel lasciò la band nel 2009 dopo un violento scontro, con tanto di chitarre sfasciate). Anche i Blur hanno sofferto i contrasti tra Damon Albarn e Graham Coxon (di recente, i due ci hanno messo una pietra sopra con una reunion). Idem per gli Suede, con il chitarrista e autore Bernard Butler che lasciò la band dopo due album a causa dei contrasti con il frontman, Brett Anderson.

Ambizione

L’ambizione, soprattutto nell’arte, non è certo un difetto, anzi. Una delle cause della fine del Britpop è il desiderio di musicisti come Noel Gallagher, Damon Albarn e Jarvis Cocker di espandere i confini del proprio sound. Fu così che nacquero Be here now, con le sue stratificazioni di chitarre e le lunghe code strumentali, Blur, con cui Albarn e soci si avvicinarono a sonorità lo-fi e indie, e This is hardcore, il più “dark” e inquieto dei dischi dei Pulp.

Soldi

L’industria musicale andò a nozze con il fenomeno del Britpop. “Un giorno eri alla fermata dell’autobus accanto ad un tipo che portava una chitarra, e tre settimane dopo te lo trovavi sulla copertina del NME”, ha raccontato Justin Welch degli Elastica, una delle meteore della scena (Welch aveva fatto parte anche di una prima incarnazione degli Suede).

L’industria britannica all’epoca investiva grandi quantità di denaro e molto rapidamente: le band nascevano e sparivano in un battito di ciglia, quanto bastava per piazzare qualche hit. L’enorme giro d’affari riguardava anche i live: nel 1996, gli Oasis (ancora loro) si esibirono a Knebworth davanti a 125mila fan. Furono oltre due milioni e mezzo le persone che lottarono per accaparrarsi un biglietto.

Fu anche per questa sovresposizione che la miniera d’oro si esaurì. Ed “esaurire” è il termine corretto, giacché soldi e popolarità non giovarono a personaggi come Jarvis Cocker, che, schiacciato dalla popolarità, scivolò nell’incubo della cocaina.

Cool Britannia

Gli anni ’90 britannici furono all’insegna di un grande ottimismo e di un rinnovato slancio. Anche in politica: nel 1997, l’avvento di Tony Blair, il più giovane Primo Ministro dal 1812, portò una ventata di novità in parlamento, sorpattutto tra le file dei laburisti Sempre nello stesso anno, Vanity Fair dedicò il numero alla Cool Britannia (questa l’espressione che catturava lo Zeitgeist dell’epoca), con in copertina Liam Gallagher e la sua fidanzata dell’epoca, Patsy Kensit: “London swings! Again!”, recitava il titolo. Nel frattempo, però, le protagoniste della scena musicale erano diventate le Spice Girls, che macinavano hit su hit e polverizzavano ogni record.

Gli entusiasmi, incrinati già dalla morte di un simbolo nazionale come la principessa Diana (nel 1997), si spensero via via che ci si addentrava nei 2000, complici anche l’11 settembre e la sciagurata guerra in Iraq in cui rimase impantanato anche Tony Blair.

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