Bill Fay – Who is the sender?

«Ever since the piano taught me»: da quando il pianoforte mi ha insegnato. Bill Fay ha un concetto sacro della musica: l’ispirazione viene a trovarlo senza che lui possa controllarla. Per questo si può dire che ogni sua canzone, ogni preziosissima goccia di malinconia che stilla dai delicati intarsi di piano, archi e chitarre che fanno grande anche Who is the sender?, sia un tentativo di trovare una risposta alla domanda delle domande: da dove viene la grazia?

Il “mandante” non è chiaro chi sia – non lo sarà mai, probabilmente. In compenso su Bill Fay qualche parola possiamo azzardarla. Per un lungo lasso di tempo (gli anni ’80 e 90) il suo è stato l’ennesimo nome nella lista dei musicisti di culto, quelli bravi, magari pure tanto, ma che non ce l’avevano fatta e alla fine avevano mollato. Fay, che nel 1970 e nel 1971 aveva pubblicato due dischi (l’omonimo debutto e Time of the last persecution), nei due decenni seguenti era praticamente sparito dalle scene. La lunga marcia di avvicinamento alla rentrée ebbe inizio nel 1998, con la ristampa di quei due album-cult e l’omaggio di artisti come Nick Cave, Jim O’ Rourke e Jeff Tweedy. Nel 2010, Joshua Henry, produttore e figlio di un veterano del Vietnam fan appassionato di Fay sin dagli esordi, contattò il songwriter per chiedergli se non gli andasse di rispolverare un po’ della sua vecchia magia. Il risultato fu un album, Life is people (2012), che sta lì a testimoniare come il tempo che passa può nulla contro il talento.

Che Fay invecchiando sia migliorato lo conferma anche Who is the sender?. Nella foto in copertina, il songwriter inglese è al piano, l’espressione è assorta: le mani pesano i tasti come in cerca di qualche strana connessione. Fay ha descritto le 14 tracce come “alternative gospel”, e la definizione per una volta non è da buttar via. La spiritualità della musica sacra si mescola con pensosi arrangiamenti acustici ed elettrici, e se da un lato i pezzi sfoggiano un pathos umile (War machine, The freedom to read), dall’altro spuntano anche soluzioni “post” (Underndeath the sun, How little).

Le melodie si snodano lente, con Fay che conduce le sue riflessioni in punta di voce (A frail and broken one). “It’s all so deep”, canta nel crescendo incalzante di How little, e non serve aggiungere altro. Who is the sender è intriso del sacro mistero della vita, si muove in bilico tra gioia e dolore. Soprattutto, è un inno alla bellezza, della vita e della musica. Da quando il piano ti ha insegnato, Bill, il mondo è di gran lunga un posto meno triste.

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