Kristian Levring – The salvation

Sarà pure presente un omaggio al cinema di Sergio Leone, ma già dalle prime scene si capisce che The salvation di Kristian Levring ha un altro sapore, quello del Nord Europa. A parte il genere – il western –, nei tempi filmici e nella caratterizzazione dei personaggi la pellicola potrebbe essere stata girata tranquillamente da Thomas Vinterberg o anche da von Trier, tanto è forte l’impronta scandinava nella storia di un uomo che da vittima si trasforma in carnefice.

Nell’ormai lontano ’95, anche quella di Levring è stata una delle firme sul famoso manifesto del Dogma (insieme ai sopra citati Vinterberg e von Trier, mentre all’appello manca Søren Kragh-Jacobsen), ma poco in The salvation richiama lo spirito di quel movimento: certo non nelle tecniche di ripresa e negli strumenti utilizzati per realizzarlo, perché è chiaro che più di una regola del Dogma qui è stata infranta e, d’altro canto, è anche vero che esso non esiste più da almeno un decennio.

Siamo nell’America dell’Ottocento. L’europeo Jon viene raggiunto dalla famiglia nel selvaggio West, dopo che egli è riuscito a costruire una piccola fortuna in una terra inospitale, ma anche ricca di opportunità. Sembra l’inizio di un idillio, destinato, al contrario, a spezzarsi subito: la moglie e il figlio di Jon sono vittime della crudeltà di un uomo, che pagherà con la vita i suoi crimini. Sarà proprio il colono ad ucciderlo, senza sapere che con il suo gesto scatenerà una vera e propria faida contro di lui.

Quando si parla di western di solito non si pensa alla Scandinavia. A torto. Perché questa prova di Levring dimostra che, senza la pretesa di competere con i grandi del passato, anche un danese può raccontare una storia di questo tipo. L’eroe silenzioso che domina incontrastato la scena è interpretato da Mads Mikkelsen, forse il più statuario ed espressivo attore danese in circolazione, a suo agio nel ruolo e affiancato da un’altra garanzia, Mikael Persbrandt. Ed è proprio la perdita subita a costituire il motore della trama e l’inizio di una serie di reazioni a catena, che trasformano Jon in modo irreversibile: dal dolore passa alla rabbia, dal sentimento di vendetta alla violenza più pura, che cresce progressivamente d’intensità, fino ad esplodere nell’epilogo.

A chiudere il film è un’ampia veduta dei pozzi di petrolio costruiti in quella che è diventata una sorta di città fantasma, distrutta da un feroce e classico duello da Far West: costruzioni imponenti, più simili a degli spettri minacciosi che incombono sull’uomo e sul suo tentativo di piegare e sfruttare avidamente una terra ancora ostile. Non c’è limite all’egoismo e alla bestialità umana, alla sua crudeltà nei confronti dei propri simili: ne sono piena rappresentazione il villain Jeffrey Dean Morgan e il suo braccio destro Eric Cantona. Ma lo sono anche Eva Green, che interpreta una donna a cui è stata tagliata la lingua, e Mads Mikkelsen, a cui viene tolta la possibilità di essere i puri della situazione.

The salvation non prevedere riscatti personali, né premi. La stessa vendetta è un atto meccanico e quasi dovuto, che lascia in bocca un sapore cattivo ed è preludio a un futuro altrettanto amaro. C’è una fine in cui, certo, ognuno paga per i suoi errori. Ma definirla lieta, in questo caso, sarebbe forse un po’ troppo. Ciò spinge a porre una domanda, che sembra non trovare una chiara risposta nella pellicola (ed è forse questa l’unica vera pecca di un film comunque discreto): in che cosa consiste, dunque, la “redenzione” (o “salvezza”) del titolo?

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