Gino Paoli si è dimesso da presidente della SIAE

La presunta evasione fiscale da 800mila euro sta costando parecchio a Gino Paoli. Dopo l’apertura di un’indagine della magistratura, gli sfottò in rete (e la non brillantissima figura) arrivano ora le dimissioni “irrevocabili” dalla SIAE.

«Ci tengo a dirvi che sono certo dei miei comportamenti e di non aver commesso reati. Con il rispetto assoluto di chi sta doverosamente svolgendo il suo lavoro di indagine, intendo difendere la mia dignità di persona per bene», si legge in una lettera inviata dal cantautore. «In questi giorni assisto purtroppo a prevedibili, per quanto sommarie, strumentalizzazioni, che considero profondamente ingiuste. Quello che non posso proprio permettermi di rischiare, però, è di coinvolgere la Siae in vicende che certamente si chiariranno, ma che sono e devono restare estranee alla Società», prosegue Paoli.

«Sono orgoglioso dei risultati che abbiamo ottenuto insieme, per cui abbiamo combattuto fianco a fianco in battaglie importanti, fino all’ultima in favore dei giovani autori – rivendica il musicista genovese -. Rassegno pertanto al presente Consiglio le mie dimissioni irrevocabili, con la certezza che la Siae saprà continuare la sua missione di tutela della creatività italiana».

Secondo le accuse, Gino Paoli avrebbe trasferito in Svizzera 2 milioni di euro di “nero”. Questo è valso al musicista l’iscrizione nel registro degli indagati per evasione fiscale assieme alla moglie, Paola Penzo. La procura di Genova aveva già trovato tempo fa le tracce di questa evasione, mentre indagava sulla maxitruffa ai danni di Banca Carige, che portò alle custodie cautelari per l’ex presidente Giovanni Berneschi, l’ad del ramo assicurativo della banca Ferdinando Menconi e altre cinque persone. Tra questi, il commercialista di fiducia dell’ex patron della banca, Andrea Vallebuona. Durante un’intercettazione ambientale nello studio di Vallebuona, i militari del Nucleo hanno potuto ascoltare un colloquio tra il commercialista e il cantautore: i due discutevano infatti di quei due milioni da portare in Svizzera e dell’ipotesi di farli rientrare “scudati”.

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