Jennifer Kent – The Babadoock

Se anche il regista del più spaventoso film di tutti i tempi e uno degli scrittori di romanzi horror più importanti del XX secolo sono rimasti colpiti dal film di Jennifer Kent, allora è il caso che vi appuntiate la data di uscita italiana di The Babadock. «Non ho mai visto un film così terrificante come The Babadock», «profondamente disturbante e altamente consigliato», sono infatti i pareri che due illustri “esperti” del genere, come William Friedkin e Stephen King hanno voluto dedicare al film presentato al recente Torino film Festival.

 

Amelie è una mamma vedova che, sempre più stressata da un lavoro non appagante e da una terribile insonnia, fatica ad educare da sola l’indisciplinato figlioletto di 6 anni Samuel, il quale non solo si comporta in modo violento ma crede anche che i suoi sogni siano afflitti da un mostro venuto per uccidere entrambi. Le cose si complicano quando in casa compare misteriosamente il libro di favole “The Babadook” e quando l’iniziale diffidenza della madre lentamente si trasforma nella consapevolezza che forse l’Uomo Nero esiste davvero.

 

 

Tratto dal cortometraggio Monster (per vederlo basta cliccare qui), scritto e diretto dalla stessa Kent, The Babadock rappresenta una boccata d’aria fresca per tutti gli amanti dell’horror costretti a sorbirsi da troppo tempo a questa parte i soliti found footage, o peggio ancora gli stanchi remake e i venali sequel. Perchè l’opera prima dell’attrice australiana dimostra non solo di aver imparato alla perfezione la lezione dei grandi maestri del brivido come Polanski e Kubrick (Shining su tutti) ma soprattutto di sapersi discostare dai canoni dei film horror e di evolvere la natura stessa del genere a qualcosa di più profondo.

 

The Babadock, più che un horror è infatti un thriller psicologico raffinatissimo che grazie ad una messa in scena precisa e originale, ci porta all’interno di un vortice emotivo dal quale piano piano scaturisce un disagio che attraversa tutta la pellicola, evitando allo stesso tempo i cliché abitualmente associati al genere e creando un’atmosfera che richiama l’espressionismo tedesco e i film muti. Il tema spesso abusato della casa infestata e degli incubi infantili è infatti risolto dalla regista prendendosi il tempo giusto per mostrare la relazione tra la madre e il figlio ed evitando i facili spaventi.

Sospeso com’è tra realtà e incubo, tra pazzia e sanità, anche la metafora sull’incapacità di elaborare il lutto acquista di conseguenza una luce tutta nuova. Ed in quello splendido finale travestito da happy ending si può scorgere la coraggiosa ed inedita dichiarazione della regista che il male, quello vero, non può essere mai sconfitto, al massimo possiamo imparare a conviverci.

 

 

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