Dan Snaith, l’uomo noto come Caribou (prima era Manitoba), ha dichiarato alla stampa che Our love è il suo disco più accessibile. È vero, soprattutto nel senso che, in questi ultimi anni, la sua musica si è spostata sempre più nella direzione della dance, assimilando anche degli stereotipi “old school” commercialmente vincenti (vedi i Disclosure). Tuttavia, come per l’ultimo Aphex Twin, la semplicità della composizioni contenute in Our love è più apparente che reale.
Al pari del Thom Yorke dei tempi migliori, le tracce sviluppano un bel contrasto tra ritmiche house/dance e inflessioni UK garage, e vocals cristalline, eteree, introverse. L’effetto è però meno alienante rispetto ai lavori solisti del frontman dei Radiohead (cui pure una All I ever need fa pensare). Sarà perché sulla tavolozza di Caribou ci sono più colori, più varietà, rispetto a un Tomorrow’s modern boxes. Can’t do without you, per esempio, si mette a fuoco lentamente, sfrutta dei loop vocali per ipnotizzare l’ascoltatore («non posso farcela senza di te») e, nel frattempo, si ispessisce e si acidifica sempre di più, con i synth che friggono e il basso distorto. Anche in Silver la varietà della tavolozza è intrigante: il pezzo sfodera una sorta di groove fluttuante e robotico, mentre Snaith si strugge tra sogno e ricordo («You were in my dream again / and I could see you kissing him oh girl / why’d you have to change your mind / just as I was changing mine?»).
La dimensione onirica pervade anche tracce come Dive, che recupera qualche accento dall’hip hop (declinandolo in chiave post-dubstep), e Second chance, che sembra un brano di Mariah Carey riletto in chiave ipnagogica, con una serie di complessi intarsi di synth tra l’epilettico e l’orchestrale. Julia Brightly, dal canto suo, modula due linee melodiche diverse, da un lato un forsennato ritmo dance, dall’altro dei fasci di sintetizzatori sognanti. Sembra che i due flussi si incontrino e si sovrappongano per un breve tratto, per poi procedere in direzioni diverse.
Our love ha un’anima soul che traspare da pezzi come Back home, che è ancora un arrovellarsi sulle dinamiche di un amore finito male. Il brano nel refrain si scuote dal suo torpore e rivela uno scintillio disperato («Where did it all go wrong? / What it is is what we’ve chosen»). Your love will set you free chiude su toni sfumati, con un groove funkeggiante condito dal violino di Owen Pallett.
Con Our love, Caribou ha segnato un’altra interessantissima tappa nel suo percorso di rilettura degli stilemi della musica elettronica e psichedelica. Forse non è un disco sorprendente come Swim (2010), ma la ricchezza dei toni e l’intelligenza di alcune trovate lo fionda dritto tra le uscite imperdibili del 2014.