Roman Polanski – Venere in pelliccia

È evidente che un regista di grande talento come Roman Polanski non abbia bisogno di grandi mezzi per creare film qualitativamente alti, essenziali e complessi al tempo stesso: sin dai suoi esordi (Il coltello nell’acqua), un esiguo numero di attori ed una trama minimale sono stati sufficienti a costruire film dagli inaspettati risvolti psicologici. Il suo è un cinema freudiano e spesso autobiografico: non fa eccezione il suo ultimo lavoro, tratto da una pièce teatrale di David Ives ispirata allo scandaloso romanzo Venere in pelliccia dell’autore ottocentesco Sacher-Masoch. L’omonimo film di Polanski è costruito rispettando le unità aristoteliche di tempo, luogo e azione: la vicenda, strutturata come un dialogo tra due personaggi, avviene per tutta la sua durata all’interno di un teatro.

Mathieu Amalric e Emmanuelle Seigner sono gli attori scelti da Polanski. Lui interpreta l’autore teatrale Novacheck, in cerca di una protagonista per la sue pièce, un adattamento del romanzo Venere in pelliccia. In ritardo per l’audizione arriva lei, Vanda, donna provocatoria e sfacciata, convinta di essere perfetta per la parte. Inizialmente riluttante, Novacheck le concede di provare alcune battute, interpretando lui il ruolo maschile, quello di Severin: si tratta di un uomo che dimostra la propria passione per l’amata, Wanda, ponendosi come polo debole e chiedendole dunque di diventare sua “padrona”, di fatto cercando di instaurare con lei un rapporto sadomasochistico (trasgressione che prende il nome da Sacher-Masoch).

Vanda entra benissimo nella parte ma è al regista che la situazione sfugge di mano: lei, dopo averlo accusato di essere un autore sessista e misogino, sfrutta la propria sensualità e la sorprendente conoscenza del romanzo Venere in pelliccia per attaccare Novacheck, ribaltando di fatto il rapporto autore/attrice e passando bruscamente dalla recita del testo alla realtà, in un’alternanza involuta che diventa una lotta tra sessi, magistralmente gestita da Polanski. Gradualmente assistiamo al “massacro” del regista, prima verbalmente e poi fisicamente sottomesso da Vanda: l’opera di Sacher-Masoch, nell’onirico contesto notturno del teatro deserto, prende vita. Novacheck diventa Severin, Vanda diventa Wanda e assume il controllo, mettendo in crisi la sua virilità e costringendolo a chiamarla “dea”.

Altro colpo ben riuscito per Polanski, capace toccati gli 80 anni di saper stupire con un film ironico e piccante, eppure più introspettivo che erotico, sicuramente uno dei suoi più interessanti e personali lavori (evidente è infatti la sua somiglianza con l’attore Amalric, mentre la Seigner è sua moglie). Questo invita a riflettere e permette di leggere il film in chiave autobiografica: in quanti casi il regista si può dire soggiogato dalla sua stessa diva, o l’uomo dalla donna? Novacheck, legato ad una statua fallica (la virilità vista quindi come freudiana prigione del maschio), riceve la sua lezione e si mostra definitivamente sconfitto dal sacro femminino incarnato da Vanda, trasformatasi da Venere in Baccante (le sue battute finali citano Euripide), mitologica divoratrice di uomini.

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