J Mascis – Tied to a star

Domanda: come si possono raccontare gli anni ’90 musicali senza J Mascis? Risposta (semplice, semplicissima): non si può. Il biancocrinito chitarrista americano, con i suoi Dinosaur Jr., ha scritto pagine piuttosto significative sul rapporto rumore-melodia, uno dei topos più abusati del rock alternativo degli ultimi trent’anni. Così, immaginate la sorpresa, nel 2011, di ritrovarsi tra le mani un album praticamente acustico come Several shades of why, che sembrava registrato in tributo a Neil Young e a certo folk spartano degli anni ’70. La sorpresa, in effetti, era di breve durata, perché poi all’ascolto le tracce rivelavano chiaramente i tratti salienti della scrittura “weird” di J Mascis. In altre parole, la matrice era la stessa dei brani dei Dinosaur Jr., solo rielaborata opportunamente per cercare di battere strade nuove.

Lo stesso discorso, volendo, si può fare per Tied to a star, che di Several shades of why riprende almeno in parte il discorso. “Almeno in parte” perché, in effetti, siamo di fronte ad un album che presenta un tratto più deciso, come se Mascis fosse più consapevole e a suo agio del nuovo ruolo di songwriter (elettrico)acustico. Non solo: il secondo capitolo della discografia solista del musicista di Amherst è più ricco dal punto di vista della strumentazione e, soprattutto, è più corale, dato l’apporto di musicisti come Pall Jenkins dei Black Heart Procession, Ken Maiuri e Mark Mulcahy. Il risultato è particolarmente evidente in tracce come Heal to the star, che parte pigra e indolente, nel solito stile slacker, per poi trasformarsi in una jam psichedelica dalle inflessioni orientaleggianti.

Tied to a star ha nella varietà di stili e influenze ben amalgamati uno dei suoi punti forti. Lo strumentale Drifter si nutre di blues e country, come una specie di Leo Kottke post-grunge; Every morning è una spigliata progressione pop, condita da un bel solo elettrico, anche se decisamente più addomesticato di quanto J Mascis non si conceda con i Dinosaur Jr., mentre in Me again, posta in apertura per sottolineare gli elementi di continuità con Several shades of why, è una splendida ballata folk in cui, a tratti, sembra di risentire persino Bon Iver.

L’ombra di una distorsione elettrica increspa la tenera Come down, serpeggia nell’inquieta Stumble, abbellisce la placida bellezza di And then con un assolo all’acquerello, e si impenna ad altezza refrain in Trailing off, brani che rivelano un compositore adulto e intelligente. Mascis, e questo è un grande merito, non è limitato semplicemente a proporre una versione unplugged del lavoro che fa con la sua band: ha adattato il suo modo di comporre, suonare e interpretare ad una nuova fase della sua vita artistica. Se questi dischi avranno la forza di superare le inside del tempo, lo sapremo solo tra qualche anno: per ora, è evidente solo il piacere che si prova nell’abbandonarcisi. E non è poco.

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