Franco Maresco – Belluscone. Una storia siciliana

Franco Maresco è un regista che sta provando a realizzare un documentario sull’impatto di Silvio Berlusconi in Sicilia. Ma le cose non vanno come sperato e il regista, dopo aver raccolto centinaia di interviste e una grande mole di materiale, decide di trasformare quella storia nella cronaca di Ciccio Mira, piccolo impresario siciliano di stanza nel quartiere palermitano di Brancaccio (vera e propria roccaforte del berlusconismo in Sicilia), che gestisce il giro dei cantanti neomelodici. Ma Maresco, per via dei continui problemi produttivi, piomba in una profonda depressione che gli impedisce di continuare il film. In suo soccorso arriva il critico e storico del cinema Tatti Sanguineti (!), che rimette insieme i pezzi del film e cerca di dare un senso compiuto a tutto il materiale raccolto dall’amico. Lo aiuteranno nell’impresa anche Ficarra e Picone (!!).

Belluscone. Una storia siciliana, scene del film

Questa in sintesi la trama del film Belluscone – Una storia siciliana, che però sfugge a una definizione precisa e rimane difficilmente catalogabile, non solo per il suo continuo alternare la realtà e la finzione, ma soprattutto per il suo mescolare coraggiosamente tematiche scottanti con un linguaggio cinematografico a metà strada tra il mockumentary e una sorta di diario filmato. Perchè quello che in un primo momento può sembrare un film sull’ascesa politica, tra luci e ombre, di Berlusconi, diventa ben presto una disamina tragicomica di quella umanità grottesca e stralunata che da sempre contraddistingue il cinema di Maresco.

Totalmente fuori dagli schemi, Belluscone ė quindi la cronaca al tempo stesso di tre fallimenti. Quello dell’imprenditore Ciccio Mira, simpatica canaglia con la nostalgia della “mafia di una volta”, quello di Berlusconi, rimpiazzato dalla sinistra rampante di Matteo Renzi, e quello più malinconico di Franco Maresco, regista “talebano duro e puro” (come lo definisce Sanguineti) che rincorre la sua personale idea di cinema, salvo scontrarsi di volta in volta con retrogadi sistemi distributivi e insensati tagli censori (come successo per Io sono Tony Scott e Totò che visse due volte). Ed è qui che il film diventa anche e soprattutto la cronaca del fallimento del cinema italiano in generale, incapace di valorizzare il talento di uno dei massimi autori del nostro paese. Uno che dopo la rottura con Daniele Ciprì (il quale ha intrapreso una strada più “affiliata” e meno estrema del collega) continua imperterrito il suo percorso cinematografico fatto di volti, di storie, di vite. L’unico capace di far vivere di una forza cinematografica personaggi reali, donandogli uno spessore cinico e allo stesso tempo profondamente affettuoso.

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