Scott Cooper – Il fuoco della vendetta. Out of the furnace

È l’America della provincia e delle crisi economica, quella a cavallo tra il fallimento iracheno di Bush e la “svolta” (?) obamiana, la vera protagonista de Il fuoco della vendetta – Out of the furnace, il nuovo film di Scott Cooper. E non è esattamente un bel vedere. Braddock, Pennsylvania, è uno scenario livido di macerie, un inferno di solitudine e disperazione dal quale nessuno può uscirne indenne.

Tantomeno Russell Baze. Operaio in un’acciaieria, paga puntualmente i debiti di gioco del fratello, Rodney, un reduce con qualche problema di reinserimento, e accudisce il padre, malato terminale di cancro. Insomma, uno che se la suda dalla mattina alla sera, la vita. Una sera, il caso ci mette lo zampino. Russell beve un bicchiere di troppo perché costretto da Petty, l’uomo a cui il fratello deve dei soldi: si mette alla guida e provoca un incidente, nel quale muore anche un bambino. Per Russell si aprono le porte della prigione; nel frattempo, la sua donna lo lascia, il padre muore e Rodney si caccia nei guai, ma di quelli grossi, dai quali si può uscire in un solo modo.

Out of the furnace è un film profondamente pessimista. La sceneggiatura di Cooper e Brad Ingelsby fa un uso abbondante di cliché (l’operaio onesto vittima delle avversità, il reduce alienato, il boss sanguinario, lo squallore e la miseria della provincia) per mettere in scena l’odissea fatalista di un Cristo del proletariato. Bale è perfetto nel dar corpo alla disperazione di Russell, una sorta di antieroe springsteeniano che lotta con tutte le sue forze pur di non sprofondare.

Il cardine della pellicola, al di là dell’ambientazione degradata, rischiarata da una luce gelida e poetica al tempo stesso, è nel rapporto tra i due fratelli. Rodney (il sempre ottimo Casey Affleck) è carne da macello: ha combattuto in Iraq, è tornato a casa ma non c’è mai tornato realmente. Una parte di sé è morta in guerra; l’altra si lascia sopraffare, risucchiata dalla crisi e dall’assenza di ogni prospettiva che non sia la mera sopravvivenza. Comincia a combattere – incontri clandestini, forse più per il bisogno di menare le mani, in cerca di una redenzione violenta, che per ripagarsi i debiti. Sulla sua strada, il terribile Curtis (Woody Harrelson, mai così cattivo), nemesi perfetta del martire Bale.

Out of the furnace è una pellicola dolente, cupa, chiusa a doppia mandata in un universo che non ammette spiragli di luce, in cui la bontà è impossibile e il riscatto un’utopia. Non è un film perfetto, un po’ scivola nella noia e di tanto in tanto abusa dei cliché (compreso un parallelismo non necessario con Il cacciatore di Cimino). Tuttavia, la disperata poesia che lo pervade e il cast superlativo (ci sono anche Willem Dafoe e Forest Whitaker) ne fanno comunque un esempio interessante di dramma proletario.

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