Neil Young – A letter home

L’ultima fase della carriera di Neil Young sembra in qualche modo improntata alla ricerca della “purezza” della musica. Che, nel caso del 69enne songwriter canadese, coincide ovviamente con un ritorno al passato, ai Crazy Horse e al rock Sixties di Psychedelic pill, alla qualità analogica della riproduzione della musica applicata al digitale (vedi il Pono), ai classici country e folk immortalati su questo A letter home.

Il disco nasce e si sviluppa all’interno di una cornice ben definita: è stato inciso per la Third Man Records, l’etichetta del re del vintage Jack White, in una cittadina carica di storia musicale come Nashville e all’interno di un Voice-o-graph del 1947, una cabina in cui suonare e registrare su vinile in presa diretta. Insomma, date le premesse, tutte orientate al low-tech e ad una (sana) nostalgia, non poteva che venir fuori un disco dal sound molto caratterizzato, tutt’altro che hi-fi e anzi impregnato di fruscii, fatto di suoni “distanti”, sgranati. Inascoltabile, eppure affascinante, tanto più che, nel suo essere (apparentemente) totalmente fuori dal mondo e anacronistico, coglie in realtà uno dei tratti più evidenti del nostro approccio alla musica – la nostalgia – esasperandolo in un modo parossistico, come nessuno aveva osato finora.

Davvero, A letter home suona come niente in circolazione. Non è necessariamente un bene, ovviamente; ma una Girl from the North Country (Bob Dylan) riletta in modo rispettoso di accordi e mood eppure “manipolata” fino a sembrare un canto d’anteguerra, ha quasi il sapore di una revisione d’avanguardia, una sfida lanciata alle possibilità della tecnica e, insieme, alla nostra capacità di percepire il tempo. Insomma, se i dischi di Daniel Johnston suonano male perché Johnston non sa farne in altro modo, qui Needle of death (capolavoro di Bert Jansch) e My hometown di Springsteen si impolverano e gracchiano volutamente come sfida ad un ascolto superficiale e distratto.

Ovviamente, Young è anche in una certa misura un nostalgico, e dunque le tracce scelte hanno un significato di “casa” che prescinde il discorso del sound “fatto a mano” per abbracciare la dimensione della familiarità. In altre parole, si tratta dei pezzi che Young ha amato e che l’hanno formato come songwriter (proprio Needle of death ha ispirato la sua Ambulance blues). E dunque A letter home ha un duplice valore: da un lato, la riflessione sulla tecnologia (o la mancanza di tecnologia) applicata al suono, dall’altro quello di reperto autobiografico. Che, tuttavia, nel raccontarci il passato ci dice soprattutto molto sul nostro presente e sul nostro futuro, e sul presente e il futuro di quello che, anche quando è volutamente inascoltabile, rimane comunque uno dei più grandi songwriter di sempre. 

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