Le Luci della Centrale Elettrica – Costellazioni

Brondi, come l’altro Vasco (quello un pelo più famoso), è emiliano, ha la passione per le frasi-slogan e un’attitudine tra l’elettrico e l’intimista. Dall’altro Vasco lo separano gli anni, la scelta di rifugiarsi dietro un monicker (Le Luci della Centrale Elettrica) e soprattutto la predilezione per sonorità indie. La sensazione che anche Brondi, come l’altro Vasco, fosse finito era arrivata con il terzo disco, Per ora noi la chiameremo felicità (2010), talmente tanto simile al predecessore (Canzoni da spiaggia deturpata, 2008) che ne sembrava quasi l’involontaria autoparodia.

Il problema di Brondi/Le Luci è la sua logorrea verbale travestita da flusso di coscienza, la tendenza a sviluppare un lungo monologo surreale che si mangia le canzoni – la musica. In questo nuovo album, Costellazioni, le cose vanno un po’ meglio: Brondi da un lato tiene al guinzaglio la sua incontinenza verbale, tra giochi di parole, slogan, la solita retorica “alternativa” ma anche immagini di discreta forza; dall’altro, l’aver fatto squadra con Federico Dragogna dei Ministri per la produzione artistica ha certamente rafforzato le pretese musicali dell’album.

Il risultato è una raccolta di 15 canzoni che sono comunque troppe e sempre troppo esili, ma capaci di tratteggiare un paesaggio di macerie lunari e “pop”, in cui si parla di crisi e dei “compro oro” ma anche dei Sonic Youth e degli Smiths, del Macbeth e della Luna ma anche dell’immancabile via Emilia. La terra, l’Emilia, la Luna, ad esempio, posta proprio in apertura, è una morbida ballata folk (un po’ Neutral Milk Hotel) arricchita da organo, cori e soprattutto da una produzione brumosa. Macbeth nella nebbia ha la stessa dolcezza, con gli archi che smussano le potenziali asperità in stile Massimo Volume. La grinta sale prepotentemente a galla nella marziale Firmamento, ma i toni prevalenti del disco sono quelli placidi di Punk sentimentale (il titolo inganna) o addirittura pop di Questo scontro tranquillo.

I destini generali si districa tra una citazione di Battiato e un’esaltazione isterica per la «deriva economica». Soprattutto, però, è furba a legare la biografia personale allo smottamento sociale in corso («è solo un momento / una crisi di passaggio / che io e il mondo / stiamo attraversando»), confermando così l’attitudine naturale di Brondi al graffito generazionale. Ti vendi bene è più intrigante dal punto di vista musicale: recupera delle pulsazioni robotiche stile new-wave anni ’80 e un po’ ammicca al maestro di sempre, Giovanni Lindo Ferretti, ma senza perdere il proprio stile (e una vena polemica un po’ ingenua: «goodbye new economy, goodbye»).  

 

Come i suoi predecessori, Costellazioni è a conti fatti un’altra serie di pagine scritte nell’occhio del ciclone di questi anni Duemila, amorfi, esaltanti, spietati, orrendi, meravigliosi. L’ambizione c’è, ma la confusione (di stili, immagini, approcci) la sorpassa di gran lunga. Un ritratto imperfetto, forse un pelo più vitale di Per ora noi la chiameremo felicità, ma ancora troppo statico per essere all’altezza dell’ambizione che lo sottende. 

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