Bart Layton – L’impostore

Nel ’94, a soli tredici anni, Nicholas Barclay scompare. Anni dopo dalla Spagna giunge una chiamata: Nicholas è stato ritrovato, in stato confusionale. La famiglia parte dagli Stati Uniti per andare a riprenderselo, ma c’è qualcosa di strano in quel ragazzo. Nicholas ha raccontato degli abusi subiti in quegli anni lontano da casa, è cambiato fisicamente e anche nel modo di parlare: per la famiglia è possibile che non sembri più lui proprio per i traumi di cui è stato protagonista, così devastanti da averlo profondamente mutato. Perciò non ha difficoltà ad accoglierlo nuovamente a casa, quando, invece, la prima impressione era quella giusta. Perché quello non è Nicholas.

Ma chi è allora l’Impostore? È il francese Frédéric Bourdin, il Camaleonte. Classe 1974, un’infanzia in un sobborgo di Parigi, un’adolescenza difficile, segnata dall’emarginazione (Bourdin era per metà algerino e per qualcuno questo costituiva un problema), fino al desiderio di essere diverso, un altro: da qui gli spostamenti, le false identità. Ecco la storia di Frédéric, colui che si finse Nicholas Barclay, beffando tutti, non solo i famigliari, anche le autorità, fino al giorno in cui venne smascherato.


Con la sua opera Bart Layton confeziona un prodotto di qualità formale eccezionale, in cui finzione, realtà, sfumature noir si fondono fino a confondersi. Al di là del semplice fatto di cronaca, il regista intende indagare il concetto stesso di verità, che qui viene messo fortemente in discussione: perché la gente mente, perché sente il disperato bisogno di camuffarsi agli occhi del mondo, perché la verità diventa così poco importante quando in gioco c’è l’approvazione del prossimo?

Ciascun personaggio coinvolto ha una sua visione degli eventi, Bourdin compreso. Due fazioni si fronteggiano, raccontando la propria versione dei fatti: da entrambe le parti esiste un fondo di verità, così come la sensazione che tutti abbiano qualcosa da nascondere. Nella sua opera prima Layton non fornisce soluzioni all’enigma, parte semplicemente da un fatto privato per imbastire un discorso molto più ampio, che può tranquillamente estendersi a tutti gli ambiti della vita, sia privata sia pubblica, nei sentimenti come nel lavoro.

Destinato a diventare un piccolo cult nel suo genere, L’impostore considera che «la verità resiste in quanto tale soltanto se non la si tormenta», che essa è ovunque e in nessun posto, che il falso è necessario per determinare il suo opposto, ossia il vero. Le storie di Nicholas, della sua famiglia e di Frédéric sembrano avere un’unica conclusione: che a questo mondo siamo tutti vittime e tutti carnefici.

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