Sangue, tanto sangue, e ralenty e testoterone. Con qualche forzatura, si potrebbe pure dire che 300: l’alba di un impero stia tutto qui, nella reiterazione della formula che aveva permesso al suo predecessore, 300 (diretto dal “salvatore di film” Zack Snyder), di sfondare al box office e imprimersi nell’immaginario collettivo (le parodie hanno smesso di contarsi).
In effetti, dal punto di vista strettamente cinematografico, la pellicola di Noam Murro è tutta qui. Certo non la si può giudicare con la lente della fedeltà storica, perché è un film (hollywoodiano), e pretendere che sceneggiatori e case di produzione ricostruiscano alla perfezione ambienti, usi, costumi, eventi, come fossimo in un’aula universitaria, sarebbe ridicolo. Neppure la psicologia dei personaggi conta: 300 era tutto nell’urlo mascolino di Gerard Butler/Leonida, re guerriero pronto con i suoi uomini a dare la vita contro i persiani per la sua patria, ed anche in 300: l’alba di un impero l’elemento principale è una sana dose di animalità, in battaglia come altrove (il sesso).
(una scena del film)
Nel film di Murro l’azione si svolge in parallelo rispetto alla pellicola di Snyder: negli stessi giorni della battaglia delle Termopili, si combatteva anche a Capo Artemisio, con i greci guidati da Temistocle (Sullivan Stapleton) e, dall’altra parte, la regina greca Artemisia I (Eva Green), desiderosa di vendetta verso il suo popolo e alleata di Serse I di Persia. La matrice – ed è questo il motivo d’interesse profondo di entrambe le pellicole – è comune, le graphic novel di Frank Miller. Solo che, mentre nel primo caso, il fumetto veniva prima del film (e ne modificava l’estetica), stavolta è nato proprio dal successo della pellicola di Snyder: Miller ha così scritto Xerxes che è servito poi da base per il lavoro di Murro.
Uno scambio vertiginoso, potenzialmente ricco di suggestioni nuove, le quali, però, si fermano a due personaggi: Artemisia, una splendida e diabolica Eva Green, e il folle re persiano Serse appunto, interpretato da Rodrigo Santoro. Al loro confronto, il Temistocle di Stapleton è un eroe senza carisma, di ben altra consistenza rispetto al Leonida di Butler. Insomma, 300: l’alba di un impero è uno spettacolone dal punto di vista prettamente visivo, ma per tutto il resto ha poco senso all’infuori del culto che potranno tributargli i fan. Sangue, un mare di sangue, e lo slow motion che carica di retorica ogni gesto guerresco, spalmati per 103 minuti di film (e tutta la pellicola precedente), finiscono col trasformarsi in una noia quella sì veramente epica.