Real Estate – Atlas

Sono entrati nell’età adulta, i Real Estate. L’omonimo debutto, del 2009, e Days, del 2011, erano dischi solari, un piccolo rifugio nella spensieratezza di un guitar pop tutto riverberi e umori retrò. Con Atlas, la band del New Jersey definisce una cartografia più complessa, chiaroscurale, più radicata in un presente carico di incertezze, ansie, precarietà.

La formula non è che sia cambiata molto: melodie delicate, gentili, begli intarsi chitarristici, progressioni di accordi semplici (vedi il video-tutorial Crime). È questione di sfumature, di versi come «toss and turn all night, don’t know how to make this right / Crippling anxiety» (Crime), di una produzione pulita, senza echi, che dà l’illusione che le canzoni abbiano una superficie piana, e invece no, ci sono i dossi, le vallate, i rilievi, e te ne accorgi quando ti ci immergi. Gli orizzonti, in Atlas, sono «sottili» e disorientano in un attimo, anche piacevolmente: «Just over the horizon / That’s where I always think you’ll be / It’s always so surprising / To find you right there next to me» (Horizon).

La ricerca di un orientamento, la distanza da colmare, l’aspettativa di un incontro spostata in avanti, il tempo che scorre, un senso quasi di mistero cosmico: sono tutti temi che si affacciano nelle tracce di Atlas, capaci di alternare toni, ritmi e arrangiamenti più brillanti (Talking backwards) ad altri più pensosi (Navigator, la country Primitive). Il tono tradisce una certa nostalgia, ma per la prima volta le canzoni dei Real Estate sembrano davvero figlie del presente, con tutto il carico di dubbi che ne consegue («Don’t know where I want to be / But I’m glad that you’re with me / And all I know is it’d be easy to leave», da Primitive).

Il tempo, nella mappa del mondo disegnata dai Real Estate, scorre di soppiatto, senza farsi accorgere: «The day is young but I’m already spent / I have no idea where that time went» canta Martin Courtney in Navigator, cullata dal ritmo swingante del charleston e con la chitarra in picking che assume un fascino ipnotico. «I’ll meet you where the pavement ends» è la promessa, e si può dire che tutte le tracce di Atlas siano cantate e suonate proprio in quel punto lì, dove ciò che conosciamo finisce e ciò che non conosciamo e non sappiamo dire sta per iniziare. Si chiama crisi, si chiama transizione, si chiama età adulta. Quella che, a quanto pare, è capace di ispirare gran bella musica.

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