Lina Wertmüller – Pasqualino settebellezze

Chi è Pasqualino Frafuso, detto Settebellezze? Innanzitutto un donnaiolo, di bassa estrazione sociale ma attento all’eleganza (eppure il curato abbigliamento contrasta con i suoi modi rozzi), ossessionato dalla propria immagine e dalle belle donne. Non è però da queste che deriva il suo soprannome: bensì dalle sue sette (e brutte) sorelle, zitelle mantenute sotto paranoico controllo da Pasqualino. Ma, ancora più che alla famiglia, il nostro protagonista è attaccato al suo “onore”, quel valore di facciata, tipico di certi briganti meridionali, di cui lui si fa paladino.

Tuttavia proprio questo onore sarà all’origine di tante disgrazie: quando una delle sorelle viene scoperta a lavorare in un bordello, lui irato fa irruzione in casa nel proprietario e, dopo averlo minacciato, lo uccide per errore. A questo punto crolla la maschera dell’arrogante Settebellezze e viene a galla la sua natura di codardo, che lo porta a chiedere l’infermità mentale pur di salvarsi dal carcere. Dopo l’entrata nella seconda guerra mondiale dell’Italia, il destino lo conduce dal manicomio al fronte, dove però non serve decentemente come soldato ed anzi finisce per disertare. Un atto di codardia che gli costa parecchio: assieme ad un compagno viene catturato dai soldati tedeschi e quindi internato in un campo di lavoro, dove imparerà ad umiliarsi pur di “tirare a campare”.

Continua la fortunata collaborazione (iniziata con Rita la zanzara nel 1966) tra la regista Lina Wertműller e Giancarlo Giannini (che interpreta Pasqualino), la cui recitazione volutamente eccessiva esalta gli aspetti grotteschi di questo “guappo” napoletano, un personaggio topico della filmografia della Wertmuller (simile al Mimì metallurgico), costruito con eccezionale realismo grazie all’imitazione del vernacolo locale attuata da Giannini (meritato candidato all’Oscar).

Quel che risalta di Pasqualino Settebellezze è la confluenza di generi, commedia e dramma, uniti con maestria, sintesi che giova della versatilità espressiva di Giannini e della efficace ricostruzione di atmosfere contrastanti: i primi minuti del film sono dominati da toni caldi e scene di vita cittadina, mentre parallelamente alla perdizione morale del protagonista ci si trova immersi in una rappresentazione dominata da un grigio infernale, colore del lager. Non mancano poi momenti di forte emotività, contraddistinti da frequenti primi piani che ci mostrano un Pasqualino sudicio e spaventato, privato di ogni dignità e, finalmente, cosciente della vacuità di certi valori da lui difesi in passato (provava ammirazione per il Duce): valori ma non virtù, come vuole suggerirci la Wertműller con la sua visione grottesca di un microcosmo, quello dei piccoli mafiosi di quartiere, portato a confrontarsi con un mondo in guerra.

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