Kimberly Peirce – Lo sguardo di Satana – Carrie

I remake sono non necessari per definizione, ma alcuni meno di altri. E non perché magari parecchio più brutti o inferiori agli originali (i remake si fanno di solito per soldi, e dunque il cattivo esito artistico è pressochè scontato). No, certi remake sono meno necessari di altri perché alla storia originaria non aggiungono proprio nulla. Come nel caso di questo Lo sguardo di Satana – Carrie, diretto da Kimberly Peirce.

Non era un soggetto facile, va detto. Primo, perché l’origine di tutto è un libro del maestro dell’horror contemporaneo, Stephen King (tra l’altro, il suo primo romanzo, del 1974); secondo, perché ne aveva già fatto un film un certo Brian De Palma (1976). Lo scialbissimo sequel del 1999 firmato da Katt Shea, Carrie 2 – La furia, evidentemente non ha spaventato la Peirce, regista rivelazione (sempre nel 1999) con l’interessante Boys don’t cry.

E dunque, ecco Lo sguardo di Satana – Carrie, che parte dal testo kinghiano per raccontare una storia di disagio e di emarginazione. L’adolescente Carrie White (Chloë Grace Moretz) vive con la madre Margaret (Julianne Moore), una bigotta ultra-fanatica, che la soffoca in tutto e per tutto. Malgrado la buona volontà di qualche docente, la ragazza cresce emarginata ed è vittima di ogni sorta di crudeltà da parte dei compagni di classe. Carrie, però, tanto indifesa non è: ha dei poteri telecinetici che presto imparerà ad usare per vendicarsi una volta per tutte. Il pretesto glielo offre un ballo scolastico, a cui l’accompagna Tommy, il fidanzato di Sue, l’unica tra le compagne che abbia mostrato un po’ di pietà verso di lei.

La Peirce è qui al suo primo horror, e non è un caso che sia stato proprio Lo sguardo di Satana – Carrie: come Boys don’t cry, anche questa è una storia di mancata accettazione di sè e maldicenze da parte della comuntà. È, questa, la dimensione che più interessa alla regista, prima ancora che il solito discorso, caro a King, del trapasso dall’infanzia all’età adulta (la crudelissima scena delle prime mestruazioni di Carrie). Il punto, però, è che la sceneggiatura di Roberto Aguirre-Sacasa e Lawrence D. Cohen è tagliata con l’accetta: l’ambiguità, il senso di colpa, il tratto ferocemente ossessivo e lugubre della pellicola di De Palma si perdono, in favore di uno script tagliato su misura per una generazione di spettatori ormai abituata a storie di supereroi adolescenti (vedi Spiderman o le parodie di Kick-Ass, con sempre la Moretz).

Lo sguardo di Satana, insomma, non regala nessun brivido in più, ed anzi tratta una materia ricca come quella di King in maniera magari visivamente efficace, ma superficiale dal punto di vista dei contenuti. Bravi gli interpreti, niente da dire, ma l’impressione è che questo remake fosse solo un dazio da pagare dalla MGM alla deriva di riletture degli horror anni ’70-’80 che hanno – inutilmente – intasato i cinema in questi ultimi anni.

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