David Twohy – Riddick

In principio era Pitch black, la pellicola 2000 con cui David Twohy (Timescape, The arrival) dette inizio alla saga di Riddick, il letale criminale spaziale interpretato da Vin Diesel. Il film aveva l’appeal (e i mezzi produttivi) del b-movie e ciò, unito alla capacità di giocare in maniera intelligente con gli stereotipi del cinema fantascientifico, gli valse un successo inaspettato. Al punto che, per il sequel, Twohy e Diesel (anche produttore) ebbero a disposizione un budget assai più sostanzioso: malgrado una trama più complessa ed effetti speciali migliori, The chronicles of Riddick (2004) deluse tuttavia parecchio i fan della prima ora.

A distanza di sette anni, la coppia ci riprova con Riddick, un tentativo di restituire il tostissimo e superumano eroe originario del pianeta Furya al suo splendore. L’uso ridotto (rispetto al passato) della computer graphic, l’ironia e un Riddick tornato di nuovo preda dei suoi istinti animaleschi, testimoniano lo sforzo di Twohy di ritrovare lo spirito del b-movie, senza però rinunciare alla spettacolarità (e agli incassi) del blockbuster. Com’era prevedibile, però, la sintesi non riesce: Riddick soffre di qualche squilibrio, di qualche goffaggine eccessiva, soprattutto ricicla troppo furbescamente idee e spunti dal primo capitolo della saga.

Ci risiamo: ancora una volta, Riddick, tradito da chi aveva promesso di rispedirlo a casa, si risveglia sulla superficie di un pianeta ostile, su cui grava una terribile minaccia. Per poter scappare, il furyano escogita un piano: attirare sul pianeta i cacciatori di taglie di tutta la galassia, in modo da poter rubare un’astronave e fuggire, dopo averli sconfitti. Va in scena, insomma, il solito copione: il superuomo (Riddick vede al buio ed è praticamente indistruttibile) solo contro tutti, in lotta per la sua vita. Il racconto si muove con la profondità di un videogame tra battutacce, cattivi da fumetto, guerriere tostissime (Dahl, che non “fotte gli uomini perché non ce n’è uno che ne valga la pena”) e mostruosi pupazzoni di gomma.

Le scivolate nel trash e l’umorismo involontario di alcune sequenze vanificano i pochi buoni spunti, presenti soprattutto nella prima mezz’ora (praticamente muta). Anche il gioco del predatore che diventa preda con l’arrivo dei cacciatori di taglie è prevedibile, e tutto si conclude (tranquilli, niente spoiler) in un finale che, in barba ai propositi anticommerciali, si presta tranquillamente ad una prosecuzione.

Insomma, Riddick è praticamente un reboot di Pitch black. Ma, a questo punto, perché sprecare i soldi del biglietto per il rifacimento più scialbo di un film comunque non memorabile?

SOSTIENI LA BOTTEGA

La Bottega di Hamlin è un magazine online libero e la cui fruizione è completamente gratuita. Tuttavia se vuoi dimostrare il tuo apprezzamento, incoraggiare la redazione e aiutarla con i costi di gestione (spese per l'hosting e lo sviluppo del sito, acquisto dei libri da recensire ecc.), puoi fare una donazione, anche micro. Grazie