Grazia Deledda – Canne al vento

Canne al vento inizia al tramonto, alla fine di una dura giornata di lavoro per Efix, da anni al servizio delle dame Pintor. Dopo la morte del padre-padrone, don Zame, a Ester, Ruth e Noemi non rimane nulla se non un piccolo podere, di cui Efix si prende cura con devozione. L’uomo custodisce un doloroso segreto, che verrà svelato dopo l’arrivo in paese di Giacinto, figlio di Lia, la quarta sorella Pintor, l’unica a essersi ribellata alla tirannia paterna. La presenza del ragazzo è destinata a far crollare gli equilibri della famiglia, a causa del rapporto ambiguo e proibito che nasce tra lui e Noemi.

Le opere di Grazia Deledda si collocano temporalmente accanto a quelle di Giovanni Verga, discostandosi in maniera significativa dal verismo dello scrittore siciliano: anche in Canne al vento c’è la fotografia di una realtà sociale, che esalta, però, i conflitti interiori dell’individuo, le angosce scaturite dalla colpa e dai desideri inconfessabili. Se Verga, sul modello della scuola naturalista francese, optava per un metodo narrativo scientifico e oggettivo, al contrario la Deledda si allontana dall’idea d’impersonalità verista, evidenziando l’intrinseca fragilità dell’essere umano. In questo senso, Canne al vento è un titolo significativo: l’uomo è come una canna scossa dal vento (ossia dalle sue passioni, soprattutto di natura sessuale), destinato prima a piegarsi e poi a spezzarsi. A nulla servono i suoi tentativi di resistenza, e solo il pentimento e l’espiazione dei propri peccati potranno in qualche modo costituire una redenzione.

Nella Deledda – in questo caso come in Verga -, il sesso gioca un ruolo fondamentale nello sgretolarsi dei rapporti. Anche il denaro diventa un elemento importante, poiché da una parte consente il riscatto da una condizione sociale modesta, mentre dall’altra è la causa dei crimini dei personaggi, spinti alla colpa dalla necessità economica. Nella società descritta dall’autrice esistono delle ferree leggi morali, e solo attraverso un fatto delittuoso è possibile sovvertirle. Ma nessun misfatto rimane impunito e ogni tentativo di sottrarsi da una circostanza avversa è destinato a risolversi per l’uomo in una nuova infelicità. Il tutto ha luogo in una Sardegna ancestrale e magica, una terra in cui le leggende dell’antico folclore si fondono con le storie private dei protagonisti: in questa «concezione dell’esistenza, improntata a una religiosità arcaica e severa e nondimeno sensibile ai drammi che si agitano negli oscuri recessi della coscienza […] non è difficile scorgere, ormai, l’archiviazione dell’esperienza veristica e il sigillo della modernità, delle inquietudini novecentesche e decadenti» (Nunzio Zago).

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