Don Chisciotte

Niente ha più realtà del sogno: sulle strade del mondo con Don Chisciotte e Sancho Panza

«In un luogo della Mancha […] non molto tempo fa viveva uno di quei cavalieri con la lancia e un vecchio scudo nel ripostiglio […] È necessario sapere che il suddetto cavaliere, nei momenti in cui giaceva nell’ozio, si dedicava a leggere libri di cavalleria, con tanta dedizione e diletto […] s’immerse tanto in quelle letture che passava le notti dal tramonto all’alba, ed i giorni dall’alba al tramonto, sempre a leggere […] Gli si riempì la fantasia di tutto quello che leggeva nei libri, d’incantesimi, contese, battaglie, sfide, ferite, corteggiamenti, amori, tormenti […] e si convinse […] che per lui non esisteva al mondo storia più veritiera».

Ogni volta che viene nominata la parola “crisi”, si ha l’impressione che le parole di Cervantes siano le più adatte per raccontare la distanza tra l’immobilità e il mondo, solo un po’ più in là. Spread, finanze, debiti pubblici e default: nello sguardo e negli occhi di chi ti sta accanto capisci che ciò che stiamo vivendo non è misurabile solamente in moneta, ma è qualcosa di più profondo. Questi anni ci hanno portato via qualcosa di molto più grande, che ci hanno portato via i sogni, la capacità di farne nascere di nuovi, l’entusiasmo e qualche ideale. Ci chiediamo spesso se convenga ancora essere idealisti in una società che punta al materiale, al ricatto morale, al traguardo senza porre l’attenzione sul viaggio. Come Don Chisciotte, leggere di grandi imprese e alimentare il fuoco che ognuno di noi dovrebbe avere dentro, per superare ogni confine ed imparare la passione. Forse questa è l’unica ricetta per vincere una crisi che è, prima di tutto, quella con noi stessi.

Ho letto millanta storie di cavalieri erranti,

di imprese e di vittorie dei giusti sui prepotenti

per starmene ancora chiuso coi miei libri in questa stanza

come un vigliacco ozioso, sordo ad ogni sofferenza.

Nel mondo oggi più di ieri domina l’ingiustizia,

ma di eroici cavalieri non abbiamo più notizia;

proprio per questo, Sancho, c’è bisogno soprattutto

d’uno slancio generoso, fosse anche un sogno matto:

vammi a prendere la sella, che il mio impegno è ardimentoso

l’ho promesso alla mia bella, Dulcinea del Toboso,

e a te Sancho io prometto che guadagnerai un castello,

ma un rifiuto non l’accetto, forza sellami il cavallo !

Tu sarai il mio scudiero, la mia ombra confortante

e con questo cuore puro, col mio scudo e Ronzinante,

colpirò con la mia lancia l’ingiustizia giorno e notte,

com’è vero nella Mancha che mi chiamo Don Chisciotte…

Quando Cervantes scrive il Don Chisciotte della Mancha è il 1602, ha 55 anni ed è rinchiuso in galera. Quella che doveva essere una semplice novella diventa uno dei più grandi romanzi che siano mai stati scritti, in cui il protagonista, eroe bizzarro e sognatore, risulta talmente ridicolo da diventare sublime, rispetta ciecamente un codice d’onore ormai perso, lascia la sua casa sicura, prende le sue armi e parte, solo, per vendicare il mondo dei torti subiti, per combattere la sua battaglia contro il potere. Non manca proprio niente al nostro eroe, se non una dama di cui innamorarsi, «poiché un cavaliere errante senza amore è come un albero senza foglie e senza frutto, e un corpo senz’anima». Ed eccola, Dulcinea, lontanissima e amata così straordinariamente, semplicemente, delicatamente e rabbiosamente. La solitudine di Don Chisciotte ne blocca però il linguaggio, l’eroe ha bisogno del suo Sancho Panza sia come scudiero, sia perché il guardiano dei porci tenga vivo il legame dell’avventura con la realtà. Nasce così un dialogo stupefacente e infinito tra servo e padrone, tra il realismo dell’uno e l’immaginazione dell’altro, tra la semplicità e il sogno.

E così da giorni abbiamo solo calci nel sedere,

non sappiamo dove siamo, senza pane e senza bere

e questo pazzo scatenato che è il più ingenuo dei bambini

proprio ieri si è stroncato fra le pale dei mulini…

E’ un testardo, un idealista, troppi sogni ha nel cervello:

io che sono più realista mi accontento di un castello.

Mi farà Governatore e avrò terre in abbondanza,

quant’è vero che anch’io ho un cuore e che mi chiamo Sancho Panza…

Non si intende di cavalleria il nostro Sancho, si maledice per aver accettato una sfida più grande di lui ma nello stesso tempo non può fare a meno di continuare a servire il suo padrone, perché in ogni favola che si rispetti l’eroe ha la sua spalla. «Sebbene io sia uno zotico e un villano, mi intendo bene di quello che si chiama il saper vivere». E mentre in questo peregrinare i mulini a vento diventano giganti sul cammino della giustizia, Cervantes ha già portato il suo lettore fuori da ogni confine. Proprio lì dove finiscono i grandi romanzi letti in una stanza, inizia l’avventura fantastica; dove finisce il sogno inizia la realtà che dialoga con la passione.

Salta in piedi, Sancho, è tardi, non vorrai dormire ancora,

solo i cinici e i codardi non si svegliano all’aurora:

per i primi è indifferenza e disprezzo dei valori

e per gli altri è riluttanza nei confronti dei doveri !

Io sarò un codardo e dormo, ma non sono un traditore,

credo solo in quel che vedo e la realtà per me rimane

il solo metro che possiedo, com’è vero… che ora ho fame!

Quello di Cervantes è un romanzo sull’eroismo, in fondo. Una favola perfettamente ambientata nel contesto storico dell’epoca, in cui è il protagonista a creare direttamente le proprie avventure. Qui non esiste una missione che viene imposta dall’alto, ma un sistema di valori interno che spinge un uomo a muoversi attivamente nel mondo. Don Chisciotte è volutamente rappresentato nella sua povertà, la sua immagine ci fa quasi sorridere. Le sue “battaglie” sono spinte al limite, tanto che il cavaliere diventa caricatura di se stesso, e proprio per questo alcuni lo definiscono un anti-eroe. L’eroismo ha mille sfumature, e oggi la vera impresa eroica sembra quella del vivere quotidiano, come sostiene anche Massimo Gramellini: «Aspiriamo alla quiete, mentre la vita è movimento, adattamento a esigenze che mutano di continuo. Se ti paralizzi davanti all’onda ne vieni travolto. Anche se le giri le spalle, nel tentativo impossibile di riguadagnare la riva. La scelta giusta è andare incontro all’onda per cavalcarla». L’aveva capito leggendo nella propria stanza, Don Chisciotte, che l’immobilità si sconfigge prima di tutto con la passione, e che prima di mutare le cose intorno occorre modificare il proprio animo, renderlo attivo, vivo, un fuoco che arde.

Sancho ascoltami, ti prego, sono stato anch’io un realista,

ma ormai oggi me ne frego e, anche se ho una buona vista,

l’apparenza delle cose come vedi non m’inganna,

preferisco le sorprese di quest’anima tiranna

che trasforma coi suoi trucchi la realtà che hai lì davanti,

ma ti apre nuovi occhi e ti accende i sentimenti.

Prima d’oggi mi annoiavo e volevo anche morire,

ma ora sono un uomo nuovo che non teme di soffrire…

Mio Signore, io purtroppo sono un povero ignorante

e del suo discorso astratto ci ho capito poco o niente,

ma anche ammesso che il coraggio mi cancelli la pigrizia,

riusciremo noi da soli a riportare la giustizia? […]

riuscirà con questo brocco e questo inutile scudiero

al “potere” dare scacco e salvare il mondo intero?

Mi vuoi dire, caro Sancho, che dovrei tirarmi indietro

perché il “male” ed il “potere” hanno un aspetto così tetro?

Dovrei anche rinunciare ad un po’ di dignità,

farmi umile e accettare che sia questa la realtà?*

Allora la risposta è sì: se ognuno di noi avesse un mulino a vento contro cui lottare, imprecare e magari sbattere contro, ne usciremmo tutti con qualche cicatrice in più ma con nuovi tesori da custodire e regalare al mondo: coraggio, passione, libertà. Padrone e scudiero che camminano per il mondo sono maschere che si sovrappongono, un gioco di specchi che rimanda di continuo alla scrittura, alla lettura, ad un eroismo sano, che ha fatto di questo libro il primo grande romanzo moderno. Oggi, immersi in questa crisi che ci sta portando via sogni, passioni e ideali, questa storia andrebbe letta, amata, riscoperta. Fuori da ogni stanza, al di là delle pagine di ogni libro, c’è un mondo che ci aspetta. E sembra ancora di sentirli i due, servo e padrone, «continuano a dialogare per le strade del mondo l’uno tirando verso il sogno, l’altro richiamandolo alla realtà». Forse anche ora, vecchi e stanchi, i nostri eroi servirebbero più in questo mondo che nelle terre sperdute della Mancha. Per ricordarci che, dopo aver guardato negli occhi di chi ci sta accanto, ci vestiremmo dei nostri ideali, e con parole e immaginazione potremmo vivere la nostra fantastica avventura, scoprendo che a volte, per essere eroi, basta un sogno.

* Francesco Guccini, Don Chisciotte (Stagioni, EMI, 2000)

 

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diDonato Bevilacqua

Proprietario e Direttore editoriale de La Bottega di Hamlin, lettore per passione e per scelta. Dopo una Laurea in Comunicazione Multimediale e un Master in Progettazione ed Organizzazione di eventi culturali, negli ultimi anni ho collaborato con importanti società di informazione e promozione del territorio. Mi occupo di redazione, contenuti e progettazione per Enti, Associazioni ed Organizzazioni, e svolgo attività di Content Manager.