Joseph Koskinski – Oblivion

Oblivion non è la pietra tombale della fantascienza: non ha la forza, la potenza vertiginosa di un 2001: odissea nello spazio. Tuttavia, avrebbe potuto esserlo. Il suo è un paradosso: un film che racconta di scenari futuribili a partire da premesse terribilmente attuali (guerre atomiche, la consunzione delle risorse naturali) e che si risolve in una lunga carrellata di cliché prelevati dai classici della fantascienza. Dite un titolo, Joseph Kosinski l’ha fatto suo. Ci sono, in Oblivion, echi di Guerre stellari, Matrix, Independence day, 2001: odissea nello spazio appunto, Blade runner, Philip Dick, i videogame “sparatutto”: un trionfo dell’immaginario audio-visivo-letterario della “science fiction”, riproposto con gusto cinefilo come supporto (giustificazione) ad un apparato visivo preminente, curatissimo, effettivamente impressionante.

Di storia, dialoghi, interpretazione, in Oblivion non c’è dunque sostanzialmente molto. Tom Cruise è il riparatore di droni Jack Harper, ovvero l’ennesima variazione sul tema dell’eroe che, tormentato da un passato oscuro, si trova caricato del destino del mondo attraverso un rovesciamento radicale di prospettiva su chi siano i buoni e i cattivi. Nel 2077, la Terra è un cumulo di scorie radioattive, un posto inospitale: l’unica cosa da fare è estrarre le risorse naturali non contaminate e prepararsi a colonizzare una luna di Saturno. Un bel dì, però, un’astronave precipita: al suo interno, ibernata in una capsula, una ragazza (Olga Kurylenko), la stessa che Jack vede continuamente nei flashback che lo ossessionano.

A metà film, questo passato angoscioso ritornerà definitivamente a galla, con il ribaltamento prospettico di cui sopra: una svolta magari non originalissima, ma comunque calcolata con buona tempistica. Tutto, però, alla fine si riduce ad una lotta per la sopravvivenza della specie umana, tra cloni, alieni, valorosi dissidenti (Morgan Freeman), inseguimenti ed esplosioni spettacolari e scenari annichilenti (il film è stato girato in parte in Islanda). Tutto già visto, insomma, ma Kosinski, partendo da una graphic novel e contando su un gusto visivo non proprio di prima mano ma di sicuro impatto (gli giova un passato da architetto), dà una bella lucidata al tutto e con l’IMAX almeno strappa qualche brivido.

Quello di Oblivion non è un mondo nuovo, neppure realmente futuribile, in effetti. È uno scenario meramente finzionale, in cui convergono i segni della cultura fantascientifica occidentale, un universo che fa il punto su se stesso ma al passato, riepilogandosi e dimenticando di tracciare vie di sviluppo future. In questo senso, il film di Kosinski testimonia la piattezza dell’immaginario attuale, più preoccupato di brillare e piacersi che di rivelare. A suo modo, esemplare.

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