Giulio Einaudi

Una grande avventura tra le pieghe della storia: Giulio Einaudi

Quando ad un uomo timido e riservato al punto giusto, la natura offre anche il dono di un’acuta ostinazione e una piccola dose di snobismo, nessun sogno è irraggiungibile, e qualsiasi desiderio non è mai troppo lontano. Giulio Einaudi era proprio questo, avvolto da un’aurea di “distaccato narcisismo” che lo fece grande. Quando l’8 settembre, fuggito in Svizzera con gli antifascisti, arrivò in un casolare affollato, chiese ai contadini un tè al limone, tra il caos generale. Lo chiamavano il Principe. Era però un principe con i piedi ben saldi al presente e lo sguardo verso il futuro, coniugando cultura e politica: così si fa la storia.

Giulio Einaudi nasce il 2 gennaio del 1912 a Dogliani, in provincia di Cuneo, figlio di Ida e Luigi Einaudi, economista che diventerà poi il primo Presidente della Repubblica Italiana. La politica fa parte evidentemente del suo destino, e durante il ginnasio incontra l’antifascista Augusto Monti, che lo consiglia di prendere qualche lezione da un suo ex allievo, Massimo Mila, il quale lo introduce in un gruppo di giovani ragazzi che diventeranno il futuro della letteratura italiana. Della “confraternita” (così viene chiamato il gruppo) fanno parte, tra gli altri, Cesare Pavese, Norberto Bobbio, Vittorio Foa, Leone Ginzburg. I ragazzi si incontrano nei Caffè, nelle case dell’uno o dell’altro, nelle trattorie, e qui discutono di politica, filosofia e letteratura. Dopo la maturità diventa amministratore de «La Riforma Sociale» (la rivista del padre) e poco più che ventenne si lancia nel mondo dell’editoria, con l’appoggio dei compagni della “confraternita”. Il 15 novembre del 1933 nasce la Giulio Einaudi Editore, che è subito però controllata dalla segreteria di Mussolini, attenta ad ogni pubblicazione antifascista. La Casa Editrice aspira ad un progetto «con interventi nel campo della storia, della critica letteraria e della scienza e con l’apporto di tutte le scuole valide, non appiattite dal prevalere della politica sulla cultura».

Inizia così un’avventura straordinaria, e presto viene scelto il simbolo che apparirà nei libri, il famoso struzzo nell’atto di ingoiare un chiodo, col motto «Spiritus durissima coquit»: una volontà capace di digerire anche i chiodi. Giulio gestisce l’impresa in maniera esemplare, cura in particolare la grafica, la fattura dei libri e le copertine, ama il lavoro di gruppo e ogni scelta viene partorita dopo accese ed appassionate discussioni con gli amici-collaboratori. Diventano famose le tradizionali riunioni del mercoledì, con l’editore seduto al centro del lato lungo del tavolo ovale, Italo Calvino a destra e Bobbio a sinistra. Einaudi è bravo ad animare i contrasti per “accendere” le intelligenze e sviluppare idee. I primi dieci anni sono però difficili, Giulio collabora col gruppo antifascista “Giustizia e Libertà” e viene arrestato nel magio del ’35. Stessa sorte per i suoi più stretti collaboratori.

Quando, un anno più tardi, il lavoro riprende, Leone Ginzburg e Cesare Pavese sono le colonne portanti del progetto. Il primo gestisce le collane dei Saggi, dei Narratori stranieri tradotti e della Biblioteca di cultura storica, mentre Pavese porta con se le traduzioni di Defoe, Stein, Dickens, Melville. Giaime Pintor è invece l’uomo dei viaggi: torna da Francia e Germania con preziose informazioni e apre l’Universale Einaudi (testi classici tra cui l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, esordio come traduttrice di Fernanda Pivano). Elsa Morante si occupa dei Libri per l’infanzia e per la gioventù, mentre Eugenio Montale gestisce la collezione Poeti. Dopo l’8 settembre del ’43 le attività si bloccano: Ginzburg viene arrestato e muore il 5 febbraio del ’44, così come Pintor. Giulio si rifugia in Svizzera e da lì si assicura i diritti di scrittori come Hemingway e Sartre. Tornato a Roma incontra Togliatti, con cui collaborerà dal ’47 al ’51. Il dopo guerra è il periodo dei grandi intellettuali per la Einaudi: Bollati, Calvino, Foa, Vittorini per un clima di libertà e democrazia. Nel settembre del ’45 iniziano le pubblicazioni de «Il Politecnico», diretto dallo stesso Vittorini, che chiude, però, due anni dopo. Anche la Ginzburg entra nel gruppo, e grazie a lei viene pubblicato Alla Ricerca del Tempo perduto, di Proust. Nelle solite riunioni del mercoledì si scelgono i libri e nell’annuale incontro in Valle d’Aosta si decide la politica editoriale. Grazie a questo gruppo di persone si sono scoperte e pubblicate opere che hanno segnato la cultura del ‘900, e si è ridata dignità alla divulgazione storica, fino al successo de La storia d’Italia, sul finire degli anni ’70.

Inizia qui il periodo di crisi: nell’83 scatta l’amministrazione controllata e nell’87 nasce una nuova struttura societaria. Dal 1994, poi, è la Mondadori a controllare il 70% delle quote, e sono veementi le polemiche di intellettuali di spicco, che accusano la Casa Editrice di non aver saputo seguire una linea autonoma al Pci. Forse il declino inizia proprio anni prima, quando Giulio stringe rapporti intensi col mondo politico, si innamora della contestazione prima e dell’Autonomia poi. Ma questa è la natura di Einaudi, custode e portatore dei valori della Resistenza, un progressista che dialogava con la sinistra. Muore a 87 anni, il 5 aprile del 1999, a Magliano Sabina, vicino Roma.

Un’artefice di una grande avventura, editoriale e di vita, in cui ha saputo intrecciare le sue origini aristocratiche e borghesi alla grande passione politica, resistendo fino all’ultimo alle aspre critiche, giunte anche dal suo mondo. Un’avventura resa tale anche dalla capacità di contornarsi di grandi collaboratori, che Giulio sapeva far rendere al meglio mettendoli quasi in competizione. Non leggeva quasi mai per intero i libri che pubblicava; si fidava del suo istinto, come quando si affidò ai manifesti per lanciare il Sentiero dei nidi di ragno e La storia. Tra questi collaboratori, Cesare Pavese è stato sicuramente il più grande esponente. Puntiglioso, preciso, arrivava al mattino presto e se ne andava puntualmente a pranzo. Quando i bombardamenti del ’43 colpirono la sede, Cesare si fece spazio tra le macerie, tolse i calcinacci e corresse le sue bozze. In esilio a Pizzoli, inondò la Casa Editrice di lettere e propose la collana Narratori contemporanei. Piccoli aneddoti per un racconto fatto di eroi. Come i pranzi in trattoria, in cui Pavese, Calvino e la Ginzburg giocavano a inventare racconti. O come gli impossibili appuntamenti di Carlo Levi: atteso invano per pomeriggi interi in ufficio, lui si presentava alle 21.30 e discuteva di tutt’altro.

Quella di Einaudi è una grande storia nella storia, fatta di modernizzazioni economiche e sociali, di grandi sogni e di grandi menti, mosse dalla passione e da quelle piccole pieghe dove, a volte, trovano spazio aneddoti e sentimenti.

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diDonato Bevilacqua

Proprietario e Direttore editoriale de La Bottega di Hamlin, lettore per passione e per scelta. Dopo una Laurea in Comunicazione Multimediale e un Master in Progettazione ed Organizzazione di eventi culturali, negli ultimi anni ho collaborato con importanti società di informazione e promozione del territorio. Mi occupo di redazione, contenuti e progettazione per Enti, Associazioni ed Organizzazioni, e svolgo attività di Content Manager.