John Luessenhop – Non aprite quella porta 3D

“Franchise”: ovvero quando il film si trasforma in un marchio, concesso in licenza. Sono in tanti gli horror classici (al di là, cioè, di Saw e simili) ad essere stati colpiti da questa sciagura: Halloween, La casa e, appunto, Non aprite quella porta. È il settimo capitolo della saga, questo, e ha tutti i crismi del caso, a cominciare da regista (John Luessenhop) e cast pressoché sconosciuti o di secondo piano, tali cioè da non distogliere l’attenzione dello spettatore dai consueti cliché, quelli che “fanno” il marchio.

Per continuare con il (terribile) linguaggio del marketing, Non aprite quella porta 3D è un “reboot”: la pellcola, infatti, fa piazza pulita dei suoi predecessori per riprendere il discorso da dove era terminato il film di Tobe Hooper del 1974. Nel capostipite della saga, la sventurata Sally scampava al massacro dei suoi amici perpetrato dai Sawyer (segnatamente, dal terribile Leatherface). Veniamo a sapere che la ragazza riuscì ad allertare le forze dell’ordine, le quali arrivarono sul posto seguite però dagli inferociti abitanti di Newt, decisi a sbarazzarsi una volta per tutte della simpatica famigliola: dal rogo approntato venne risparmiata una bambina. Cresciuta all’oscuro delle sue origini, un bel giorno Heather scopre di avere una nonna che le ha lasciato un’eredità: una casa. La ragazza parte allora alla volta del suo bottino, assieme al fidanzato Ryan, all’amica Nikki e al boyfriend di questa, Kenny. Lungo il tragitto, i tre imbarcano pure un autostoppista, Darryl, tanto per regalare qualche bocconcino di carne in più al redivivo Leatherface.

“Regalare” perché i personaggi qui, come da stereotipo, riescono sempre a cacciarsi nelle situazioni peggiori e a dividersi nei momenti meno opportuni. Completano il quadro delle banalità di genere le battutacce a sfondo sessuale (un incredibile «non ti piacciono le mie bocce?» pronunciato da una delle protagoniste a un tavolo di biliardo), la messinscena truce eppure patinata, e soprattutto sangue a go-go. Qualche variazione sul tema, va detto, c’è. Leatherface, ad esempio, è il Frankenstein della situazione, un mostro “naturale” contrapposto ai mostri-uomini (il sindaco di Newt, desideroso di fare giustizia a modo suo). Heather, dal canto suo, nella seconda parte del film da vittima si trasforma in complice, favorendo anche qualche considerazione potenzialmente interessante sui legami di sangue. Roba di poco conto, comunque: l’epicentro di Non aprite quella porta rimane lo spettacolo “gore”, talmente fiacco però che neppure il 3D riesce a risollevarlo.

Un’operazione di puro marketing, insomma (e anche maldestra: Heather dovrebbe avere trentanove anni ma la interpreta la ventisettenne Alexandra Daddario). Il “cultissimo” di Hooper è un’altra cosa.

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