Ennio Flaiano – Tempo di uccidere

Tempo di uccidere, opera d’esordio di Ennio Flaiano e primo romanzo capace di conquistare, nel 1947, l’appena istituito Premio Strega, è il più noto testo letterario sul motivo dell’occupazione fascista d’Etiopia e, in generale, sulle vicende coloniali italiane. Quella che ai disgraziati tempi delle Camicie Nere veniva chiamata Abissinia è la terra che fornisce l’humus alla narrazione di Flaiano e permette la riuscita di una potente allegoria sul tema del dominio e della violenza.

Le sorti del paese invaso e martoriato dalle truppe di Badoglio e Graziani erano d’altra parte ben note allo scrittore abruzzese, che tra il 1933 e il 1936 fu ingaggiato come ufficiale e spedito in Africa per alimentare la megalomania del regime di Mussolini. Fatto tesoro della propria esperienza, Flaiano volle ambientare proprio in Etiopia la crisi esistenziale dell’uomo moderno, incapace, alienato, che girovaga in preda a deliri e furori ed incarna la deriva tragica di una civiltà ormai assuefatta all’esercizio della brutalità e della ragione.

La vicenda narrata in Tempo di uccidere è accidentata ma in fondo semplice. Si dipana tra i paesaggi arcaici e impervi dell’altopiano etiope e vede l’ufficiale, figura costruita tenendo bene a mente il prototipo dell’antieroe, cimentarsi in prove di vita estreme, addentrarsi in un labirinto di ossessioni e poi riemergere grazie all’adozione di un comportamento scaltro. Il clue allegorico e tematico si gioca nelle prime pagine del romanzo, dove il protagonista violenta e poi uccide in maniera fortuita una donna indigena, Mariam. Dopo quell’atto, l’ufficiale cade in un vertiginoso circolo paranoico e, mosso dall’atrocità del senso di colpa, si cimenta in disavventure che crede derivare da un sortilegio afflittogli dalla stessa donna uccisa. Si convince di avere la lebbra e, nel disperato tentativo di salpare alla volta dell’Italia, commette una serie ulteriore di efferatezze. Le colpe accumulate non verranno mai scontate e il protagonista, in realtà sano, riuscirà a chiudere con l’Etiopia.

Mariam, donna-Africa che incarna la presunta spontaneità del “selvaggio” colonizzato, continua a giacere, invendicata, nel suo mortale letto di pietre. L’invasore omicida, vivo e arzillo, torna alla sua vita di sempre con la coscienza salva ma sporca di una nerissima “innocenza”. Sarà solo la Storia, dopo il 5 maggio del 1941 (il giorno in cui l’Etiopia la fece finita con i fascisti), a sancire che «l’imperialismo, come la lebbra, si cura con la morte».

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