Wes Craven – Nightmare. Dal profondo della notte

Gli incubi: nessuno sa da dove arrivino, se dal profondo dell’inconscio o “dal profondo della notte”. Prendiamo Nancy: ogni volta che chiude gli occhi e s’addormenta, vede materializzarsi un uomo con un maglione a righe verdi e rosse, il volto sfigurato sormontato da un cappellaccio e, soprattutto, le mani di artigli. Lo stesso incubo ossessiona l’amica Tina: quando poi questa viene fatta a pezzi da una forza invisibile davanti al ragazzo, Rod, è evidente come le pulsioni nascoste dell’Io c’entrino poco. Freddy Kruger, si chiama il mostro, ed è reale. L’uomo, in vita, era stato un maniaco, uccideva bambini: bruciato vivo dai genitori della piccola comunità di Springwood (tra cui la madre di Nancy, Marge), ora è “tornato” per riprendersi la sua rivincita.

Nel film di Wes Craven, insomma, la regola è semplice: vietato addormentarsi. Nightmare è una fiaba crudele, infarcita di archetipi (a cominciare da quello dell’“Uomo Nero”) e stereotipi “di genere”. Non a caso, il percorso artistico del regista sarà poi tutto incentrato sulla decostruzione dei meccanismi del racconto horror (vedi la serie metacinematografica Scream). Craven, dunque, parte dallo “slasher” e va oltre: specula sulla paura, lo spavento, come emozione profonda, primigenia, ancestrale, per raccontare la perdita dell’innocenza. In primis, di Nancy e dei suoi amici, colti negli anni cruciali dell’adolescenza (luogo di “incubi” per definizione), ma anche dell’America suburbana. Craven demolisce il mito della piccola comunità, ne mostra il volto vero, fatto d’ipocrisia e finto perbenisimo.

Il “Sogno” americano, insomma, è un incubo: svegliarsi è impossibile. Non perché non sia possibile aprire gli occhi, ma perché l’orrore è penetrato talmente tanto a fondo da divenire parte integrante della realtà. Nancy elabora un piano: con la complicità del boyfriend, Glen (un’esordiente Johnny Depp), cerca di trascinare Freddy “al di qua”. Ci riesce, ma il risultato non sarà quello sperato. Il finale, sorprendente, è un altro tocco da maestro di Craven, conclusione ideale di una parabola lucidissima e spietata, condotta con impeccabile gusto cinefilo, senso della suspense e ghigno sardonico. Un congegno narrativo impeccabile, insomma, che fagocita segni dal cinema, dalla letteratura, dal mito (la discesa nell’“ade” di Nancy) per rassembrarli in forma di riflessione sofisticata e post-moderna. Primo di una lunga serie di sequel e remake, uno solo dei quali diretto da Craven (Nuovo incubo, del 1994).

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