Friedrich Dürrenmatt – La morte della Pizia

Seduta su un tripode e avvolta dal fumo, la Pizia è fautrice di profezie, la portavoce degli dei nel mondo. Ma la protagonista del libro di Friedrich Dürrenmatt ha più l’aria dell’imbrogliona che improvvisa oracoli a caso. Così, infatti, inizia La morte della Pizia: «Stizzita per la scemenza dei suoi stessi oracoli e per l’ingenua credulità dei Greci, la sacerdotessa di Delfi Pannychis XI, lunga e secca come quasi tutte le Pizie che l’avevano preceduta, ascoltò le domande del giovane Edipo, un altro che voleva sapere se i suoi genitori erano davvero i suoi genitori […]». Il sarcasmo dell’autore svizzero non ha alcun intento satirico fine a se stesso: Dürrenmatt non vuole dissacrare il mito (cosa che non accade, per altro, nemmeno ne Il minotauro), quanto piuttosto riflettere con ironia sulla capacità della Pizia di generare lo scompiglio con nefasti e del tutto infondati pronostici. Nel racconto trovano spazio le meditazioni del personaggio sulla sua passata attività di veggente, considerando in primo luogo la sua storica rivalità con l’indovino Tiresia.

«La verità resiste in quanto tale soltanto se non la si tormenta»: ma dunque, dov’è la verità nelle previsioni della Pizia e di Tiresia? E dov’è la verità in quanto raccontato da Edipo e da tutti coloro che si sono presentati al cospetto della Pizia? La verità è una nozione multiforme, soggettiva, che deve sempre fare i conti con l’altra faccia della medaglia, ovvero il falso. Così, Tiresia divide l’umanità in due categorie: da una parte, coloro che reputano il cosmo un sistema ordinato, governato da leggi razionali, dall’altra chi lo concepisce come un mostruoso caos, dove le leggi esistono «soltanto nell’immaginazione degli uomini». Per alcuni la verità risiede in tutto ciò che è riconducibile alla ragione, per altri nelle parole della Pizia.

Esiste un solo e vero sovrano a Delfi, ed è l’enigma. Il caso di Edipo, celebrato nella tragedia di Sofocle, a differenza di «Atene che è provincia e Sofocle che sarà dimenticato», continuerà a vivere, «resterà un tema che pone a noi enigmatici quesiti». Egli non ha rispettato i principi sui quali si fonda la società ed è, per questo, artefice del suo destino, nonostante gli avvertimenti di Tiresia. Ma potrebbe essere anche colpa della sfortuna, evocata dal «capriccioso vaticinio» della Pizia? È questa la domanda con cui si chiude il racconto, un interrogativo che resta aperto perché la Pizia non c’è più: è sopraggiunta la morte, una nuova avventura, il viaggio tanto bramato che permette di allontanarsi dalle miserie degli uomini e dalle loro sciocche superstizioni, di cui la Pizia si è presa gioco fino all’ultimo dei suoi giorni.

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