Ettore Scola – Dramma della gelosia. Tutti i particolari in cronaca

Ettore Scola è il regista del mondo che cambia, delle belle speranze andate perdute, dello smarrimento dinanzi al presente, del futuro ingannevole che incalza e del rimpianto. Pochi come lui hanno saputo condensare, in un ritratto malinconico e grottesco al tempo stesso, i tic dell’italiano medio, alle prese con la Storia e i suoi sconvolgimenti. Uscito nel 1970, Dramma della gelosia esemplifica alcune tensioni salienti del suo cinema, sempre conteso tra gusto popolare e ricercatezza.

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Al centro della sceneggiatura firmata Age & Scarpelli, un triangolo amoroso che fa il verso a Jules e Jim di François Truffaut (1962). Protagonisti Oreste (Marcello Mastroianni), muratore, uomo maturo e sposato, e Nico (Giancarlo Giannini), pizzaiolo, più giovane di lui, entrambi innamorati della fioraia Adelaide (Monica Vitti). Il “dramma della gelosia” (con conseguenti “particolari in cronaca”) cui allude il titolo è un riferimento all’epilogo amaro della vicenda, la morte della donna per mano di Oreste. Nessuna sorpresa svelata, non preoccupatevi: il film apre proprio con il sopralluogo sul teatro del fattaccio da parte dei due amanti coinvolti e delle autorità. Sullo sfondo del ménage à trois, le lotte dei lavoratori e gli scioperi sindacali (è in occasione di una manifestazione che Oreste e Nico diventano amici): l’Italia che cambia, insomma, e che cerca un appiglio per non affondare nel marasma della modernità post-industriale. Oreste, in particolare, tenta di ricondurre nel pubblico la sua crisi privata, appellandosi alle categorie marxiste per dare un senso alle pene d’amore (Adelaide ha lasciato lui e il rivale per un ricco e pittoresco macellaio). I suoi, però, sono discorsi sconclusionati, manifestazione di una solitudine incomprensibile e persino ingiustificata agli occhi della Dottrina. Non a caso, la riposta da parte del suo segretario di sezione è un bel «ma che stai a ddi’?».

Scola, quindi, imbastisce un mix di melodramma proletario e commedia, adoperando i più disparati materiali della cultura popolare (dal fotoromanzo alle canzonette), cercando l’aggancio (ironico) con il neorealismo (il degrado delle location, fatiscenti e invase di rifiuti sino al parossismo). I continui sguardi in macchina e il dialogo degli attori col pubblico rivelano la natura farsesca della messinscena, che si alimenta anche di un uso distorto della lingua, una parodia dell’italiano colto dagli innegabili effetti comici, eppure quasi straniante.

Memorabile il cast di attori, Mastroianni in primis, abilissimo a dar volto – un volto teso, stralunato – alla solitudine e all’alienazione della società dei consumi.

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