Paul Buchanan – Mid air

La colpa è nostra. Paul Buchanan negli anni ’80 era in giro, ma noi ce lo siamo fatti scappare. Abbiamo preferito inseguire i futili sogni “new pop” a base di spiagge esotiche e belle donne dei Duran Duran, piuttosto che farci cullare dalle prime luci dell’alba di Glasgow. È uno strano, Buchanan. Altri al posto suo avrebbero approfittato alla grande di un talento così, si sarebbero venduti meglio, avrebbero riempito ogni fascia oraria di MTV con il proprio volto, o le cover dei magazine specializzati, magari approfittando di qualche flirt famoso (Rosanna Arquette, conosciuta alla fine degli ’80 durante un tour negli USA). Non Paul. Schivo come pochi, ha rifiutato la fama e distillato la propria abilità con cura, lavorando sulla qualità delle composizioni sino allo sfinimento. Il primo disco dei suoi Blue Nile era del 1983 (A walk across the rooftops); il secondo, Hats, del 1989, riscritto dopo una prima stesura giudicata non soddisfacente. In seguito sono venuti altri due LP assieme a Robert Bell e Paul Joseph Moore (Peace at last e High, datati rispettivamente 1996 e 2004) e stop, fine dei giochi. Paul doveva pubblicare un album assieme a Shirley Manson dei Garbage, ma l'”Industria” non ne ha voluto sapere: troppo poco radiofonico, pare. E così ecco il songwriter scozzese alle prese con la sua prima prova solista.

“Mid air”, recita il titolo del full-lenght, “a mezz’aria”, esattamente come le quattordici tracce che lo compongono, sussurri appena abbozzati e fragili, certo, ma con un loro orgoglio. Il piano macina pochi accordi, qua e là spuntano fuori degli archi, delle trombe, un bordone di tastiere, ma è poca cosa, e comunque non spodesta dal centro del proscenio la Voce, intesa non come vocalità, ma come racconto, o meglio, come filo rosso di suggestioni che unisce dettagli cinematografici dalla comune origine: la vita di tutti giorni, con i piccoli gesti, gli oggetti consueti e l’amore dal potere redentore. Ed è sorprendente il modo in cui un’inflessione, una variazione melodica quasi appena percettibile o un dettaglio armonico all’apparenza di secondo piano riescano a far rilucere Mid air, Half the world, Buy a motor car, My true country, After dark. Lontane dalla lussureggiante essenzialità del capolavoro Hats, queste ballate si rivelano a poco a poco, gocciolano lente dalle grondaie di un dolore privatissimo, terribilmente umano, e in un attimo si offrono al gioco dell’arcobaleno, perché nessun dolore è mai troppo grande e nessuna notte eterna. C’è, in Mid air, Paul Buchanan, tutto il suo mondo come te lo aspetti, un mix di romanticismo, speranza, stanchezza, passione, lotta. Un film forse già visto (la matrice dei brani è Family life, da Peace at last), ma di cui non ti stancheresti mai, neanche tra cent’anni.

Se Mid air dovesse avere un secondo atto, sarebbe alle regole di Buchanan: tempi lunghi e cura del dettaglio. E cuore, tanto cuore, ché non è mai troppo.

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