Toy – Toy

Toy, “giocattolo”. E forse un po’ è così, nel senso che la musica di Tom Dugall e soci è uno sciame colorato di note, un aggregato grumoso di suoni che volteggiano brillanti e nervosi, riempiendo gli spazi che le melodie aprono. Un soffio lisergico, con qualche richiamo a profondità oscure che la copertina del disco ben esemplifica. Basta poco, però, per capire che la faccenda è seria, perché il combo inglese ci si mette subito d’impegno a citare tutto e tutti pur cercando di non assomigliare ad altri che a se stesso. E, sorpresa, ci riesce. Toy è il perfetto esempio di come si possa muovere da premesse all’apparenza scontate (in fondo, post-punk, shoegaze e krautrock non nascono oggi) e riuscire a ritagliarsi un piccolo spazio proprio, ben scudati dalla tentazione di ridurre tutto al gioco del “somiglia a”. Non che la musica di Dugall, Dominic O’Dair, Maxim Barron, Alejandra Diez e Charlie Salvidge non abbia parentele (anche illustri) da vantare: l’odore di The Sound, Neu!, My Bloody Valentine e The Horrors (a cui hanno fatto da spalla in tour) lo senti subito. Il punto è che mentre sei lì, immerso nelle tastiere ariose di The reason why, bombardato dal motorik di Motoring (nomen omen) o minacciato dai riverberi di Strange, non pensi mica alle connessioni, alle affinità e a tutti quegli altri giochetti da critico di serie B: ti affidi alla corrente e ti lasci trasportare più che volentieri.

La razionalizzazione arriva dopo, ma non sminuisce l’impressione iniziale. Dodici tracce, brillanti sia dal punto di vista melodico che degli arrangiamenti, malgrado poi l’arsenale sia sempre quello: battiti incalzanti, fraseggi pulsanti di basso, schitarrate rugginose, sintetizzatori orchestrali ed un cantato anemico, che trasfigura l’inquietudine in malinconia. Tutto ben riassunto dai quasi dieci minuti finali di Kopter, la cui lunga coda strumentale sa tanto di Germania anni ’70. Prima, però, c’avevano già pensato Colour running out, la sopraccitata The reason why, Dead and gone e Drifting deeper a delineare il profilo di un’epica visionaria magari non originalissima, ma forte abbastanza da rifuggire il languore un po’autoindulgente di certa (nu) new wave in circolazione. Sembra tutto facile per i Toy: che spingano sull’acceleratore o rallentino i giri (Walk up to me, una marcia straniata, la “ventosa” Omni), la concentrazione rimane altissima, così come la credibilità.

Un lavoro più che interessante, soprattutto per le continue possibilità che sembrano schiudersi nota dopo nota, accordo dopo accordo. I Toy dalla loro hanno tempo e talento, accoppiata fondamentale: resta da capire se avranno anche l’assennatezza necessaria a non gettare tutto alle ortiche. Aspettiamo.

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