David Byrne & St. Vincent – Love this giant

Un po’ di tempo fa, a proposito del disco di debutto dei Divine Fits, A thing called…, avevamo scritto che i supergruppi non sempre si traducono in sodalizi artisticamente felici, vuoi per la mancanza di un reale slancio creativo (e dunque per l’opportunismo di certe operazioni), vuoi per lo scontro di ego al quale si rischia di giungere ogni volta che personalità “ingombranti” si trovano sedute assieme intorno a un tavolo. Come per la band di Britt Daniel, Dan Boeckner e Sam Brown, anche nel caso dell’inedito duo composto da David Byrne e Annie Erin Clark le difficoltà che la coabitazione potenzialmente recava con sé sono state brillantemente superate. Love this giant suona compatto come se fosse il parto di una sola penna, e questo nonostante la varietà di materiali che i nuovi Bella & Bestia della musica pop hanno inglobato nei dodici brani che compongono la tracklist dell’LP.

Due i punti fermi delle partiture: beat e fiati, con i primi in bella mostra, a creare l’esoscheletro, ed i secondi a sciamargli intorno, per lo più capricciosi ed ammiccanti. Nel mezzo di questo sandwich analogico-digitale (sulla cui preparazione ha vegliato il producer John Congleton), un po’ di tutto: funk, r’n’b, jazz e un tocco etno, mescolati ben bene, al punto tale che non si capisce dove finisca uno e cominci l’altro. Ascoltare per credere Who, This one who broke your heart, Ice age (scritta dalla sola St. Vincent) e Dinner for two. Tutto è pervaso dallo spirito art-rock di certi Seventies: in pole position, ovviamente, i Talking Heads dell’era Brian Eno, ma in Lazarus riecheggiano anche i Devo. S’avverte inoltre qua e là qualche idea da musical (soprattutto per quanto riguarda gli arrangiamenti dei fiati), retaggio forse del concept album “broadwayano” su Imelda Marcos Here lies love, che Byrne ha firmato assieme a Fatboy Slim ed in cui (tutto torna) St. Vincent ha cantato su invito del primo. C’è spazio anche per le ballate, ma nonostante non rinuncino a qualche “stonatura”, a qualche tocco di eccentricità, Outside of space & time (del solo Byrne) e Lighting sono tra i momenti più deboli del disco.

Nel complesso, comunque, Love this giant è un prodotto riuscito, in cui pop, elettronica e post-punk viaggiano compatti in un’unica direzione, senza lotte intestine che minino l’equilibrio delle partiture. Il suo difetto è semmai da rintracciarsi in un eccessivo cerebralismo (stessa cosa scritta per i Divine Fits: come dicevamo, tutto torna). Il primo parto della coppia (di freak) “più bella del mondo” soffre insomma di un certo gusto intellettualista, ma va bene così (per ora): l’intelligenza, anche in dosi robuste, non ha mai fatto male a nessuno.

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