Trent’anni di mafia nel cinema italiano

Mafia e cinema. Già singolarmente di questi due argomenti si potrebbe parlare quasi all’infinito. Se cominciamo a trattare di “mafia nel cinema”, poi, rischiamo di dover pubblicare un’enciclopedia. Proviamo allora a restringere un po’ il campo: parliamo di film e telefilm sulla mafia prodotti in Italia negli ultimi trent’anni (e, anche in questo caso, citeremo i titoli più significativi), con la consapevole premessa che anche la filmografia americana sul tema è molto vasta e meriterebbe un approfondimento a parte, e che già da prima, dagli anni Trenta, e soprattutto tra gli Sessanta e Settanta, il cinema aveva cominciato a occuparsi di mafia. La filmografia italiana degli ultimi anni è particolarmente prolifica, in primo luogo perché strettamente legata a fatti di cronaca, come le stragi di Capaci e via d’Amelio, e poi perché figure storicamente esistite, e apertamente schierate contro la mafia, sono state i soggetti di molte pellicole (Rosario Livatino e Peppino Impastato, o il primo pentito della storia, Leonardo Vitale).

La mafia al cinema…

Mentre oltreoceano i romanzi di Mario Puzo vengono trasposti da Francis Ford Coppola (la trilogia de Il padrino) e Michael Cimino (Il siciliano, 1987), in Italia esce Cento giorni a Palermo (1984) di Giuseppe Ferrara, film che ripercorre i momenti salienti della permanenza (esattamente 126 giorni) del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa nel capoluogo siciliano (di Giuseppe Ferrara è anche Il sasso in bocca del ’71, un documentario che ricostruisce le origini storiche e sociali della mafia). Tra gli sceneggiatori di Cento giorni a Palermo c’è un giovane Giuseppe Tornatore, che continua a parlare di mafia nel suo esordio alla regia con Il camorrista (1986), tratto dall’omonimo romanzo di Giuseppe Marrazzo, ispirato alle imprese di Raffaele Cutolo, fondatore della “Nuova Camorra Organizzata”, un’organizzazione camorristica degli anni Settanta, estinta alla fine degli anni Ottanta, quando molti degli esponenti vennero arrestati o uccisi.

Il 1985, è l’anno di Pizza Connection di Damiano Damiani, già regista de Il giorno della civetta nel ’68 (tratto dal famoso romanzo di Leonardo Sciascia), Perché si uccide un magistrato (1975) e Un uomo in ginocchio (1979), mentre nel 1988 Sergio Nasca realizza La posta in gioco, film incentrato sulla figura dell’assessore Renata Fonte, uccisa nel marzo 1984 a Nardò, in provincia di Lecce.

Nel 1990 esce Dimenticare Palermo di Francesco Rosi, «film a programma che sostiene due tesi: legalizzare la vendita delle droghe per stroncare il narcotraffico; essere siciliani non è un dato di fatto, ma un destino al quale non ci si può sottrarre». Nel ’93, Ricky Tognazzi gira La scorta e il già citato Giuseppe Ferrara realizza Giovanni Falcone, che ripercorre la lotta alla mafia del giudice ucciso nella strage di Capaci; inoltre, Alessandro Di Robilant porta sullo schermo la figura del magistrato siciliano Rosario Livatino ne Il giudice ragazzino, ispirato a un libro di Nando Dalla Chiesa (il titolo è suggerito da una locuzione irrispettosa dell’allora presidente della Repubblica, Francesco Cossiga: «Non è possibile che si creda che un ragazzino, solo perché ha fatto il concorso di diritto romano, sia in grado di condurre indagini complesse contro la mafia e il traffico di droga»). Livatino si è occupato di “Tangentopoli siciliana” ed è stato ucciso in un agguato mafioso il 21 settembre del ’90.

Un eroe borghese del ’95, racconta la vicenda dell’avvocato milanese Giorgio Ambrosoli, nominato nel 1974 commissario liquidatore di una banca del finanziere Michele Sindona, membro della loggia P2. Ambrosoli scopre i legami poco puliti di Sindona con alcuni esponenti politici, il Vaticano e la mafia, ma resiste alle pressioni e alle minacce della loggia P2 e del mondo politico democristiano. Nel 1979 viene ucciso da un sicario: Sindona è accusato di essere il mandante dell’omicidio e condannato all’ergastolo, che non sconterà mai, in quanto viene avvelenato nel carcere di massima sicurezza di Voghera pochi giorno dopo la sentenza.

Nel ’95 esce anche Paolo Borsellino di Pasquale Scimeca: il regista torna a parlare di mafia nel 2000 con Placido Rizzotto, il sindacalista comunista ucciso nel 1948 a Corleone. Oltre a Claudio Fragasso, regista di Palermo-Milano solo andata (1995, seguito, nel 2007, da Milano-Palermo: il ritorno), segnaliamo l’opera di Roberta Torre, Tano da morire del 1997: la pellicola rappresenta un po’ un caso cinematografico, perché per la prima volta si parla di mafia con un tono lieve e grottesco. Si può ridere di un argomento così delicato? Pare di sì, anche se la pellicola è ispirata alla storia vera di Tano Guarrasi, mafioso, macellaio per copertura, ucciso a Palermo.

I cento passi (2000) di Marco Tullio Giordana è forse uno dei film più famosi e significativi dell’ultimo decennio sulla mafia. Il protagonista è Peppino Impastato (uno strepitoso Luigi Lo Cascio, mafioso sette anni dopo ne Il dolce e l’amaro di Andrea Porporati), ironica voce di radio Aut: cento passi dividono la sua casa a Cinisi da quella di Tano Badalamenti, boss mafioso. Impastato muore il 9 maggio 1978, ma la sua fine viene oscurata da un’altra morte avvenuta nella medesima data, di grande importanza a livello nazionale: la morte di Aldo Moro, presidente della DC, rapito e giustiziato dalle Brigate Rosse. Per anni nessuno gli dà importanza, ma oggi, in Sicilia, Impastato è un mito.

Nel 2003 è la volta di Segreti di Stato di Paolo Benvenuti, sulla strage di Portella della Ginestra nel 1947, ufficialmente opera di Salvatore Giuliano, in realtà azione della “strategia della tensione” volta a intimidire le Sinistre. Roberto Faenza firma nel 2005 regia, soggetto e sceneggiatura di Alla luce del sole, con protagonista Luca Zingaretti, sulla figura di Don Pino Puglisi, mentre nel 2007 L’uomo di vetro di Stefano Incerti narra la storia di Leonardo Vitale, il primo pentito di Cosa Nostra. Le sue confessioni permettono una trentina di arresti fra il 1972 e il 1973, ma nel frattempo Vitale viene rinchiuso in un manicomio criminale, dal quale esce solo nel 1984. Infine, impossibile non menzionare Gomorra (2008), nota pellicola di Matteo Garrone, basata sull’omonimo libro di Roberto Saviano.

Concludiamo citando due documentari: La mafia è bianca (2005) di Stefano Maria Bianchi e Alberto Nerazzini, e Libera nos a malo (2008) di Fulvio Wetzl. Il primo reportage analizza l’ambito della sanità in Sicilia, i rapporti con la mafia e la politica; Libera nos a malo, invece, s’inoltra in un luogo inesplorato, la Basilicata, a torto considerata estranea ai casi di mafia, forse perché priva di una criminalità organizzata specifica. Negli ultimi anni, le organizzazioni confinanti (Cosa Nostra siciliana, Sacra Corona Unita in Puglia, ‘ndrangheta in Calabria, camorra in Campania) s’infiltrano nel territorio, con regolamenti di conti, sparizioni, tutti casi irrisolti. Il film si concentra, in particolare, su due casi: quello di Elisa Claps e la morte violenta di Luca Orioli e della fidanzata.

… e in televisione

Ricordiamo alcune delle più note serie televisive sulla mafia, a partire dalla saga La piovra, composta da dieci miniserie televisive, in onda dall’84 al 2001. Figura centrale delle prime quattro serie è il commissario Corrado Cattani, interpretato da Michele Placido, che col tema ha sviluppato una certa affinità nel corso della sua carriera di attore e di regista. Oltre ad aver preso parte a molte pellicola sulla mafia, Placido ne parla anche nei suoi film: insieme a Un eroe borghese, ricordiamo Romanzo criminale (da cui è tratta un’omonima e fortunata serie televisiva) e Vallanzasca: gli angeli del male, per il rapporto della banda della Magliana e di alcuni personaggi vicini al leader della Comasina (in primo luogo, Francis Turatello) con le organizzazioni mafiose. Tornando a La piovra, viene analizzato il processo con cui la criminalità organizzata si espande in vari settori, dai piccoli affari locali ai legami con la politica e il mondo finanziario. Un’altra saga composta da tre miniserie da segnalare è Ultimo di Stefano Reali, seguito da Ultimo – La sfida e Ultimo – L’infiltrato di Michele Soavi, con protagonista Raul Bova nei panni del capitano Roberto Di Stefano, detto appunto “Ultimo”.

Del 2004 è la miniserie televisiva Paolo Borsellino di Gianluca Maria Tavarelli, in cui viene raccontata la storia del pool antimafia dei giudici Falcone e Borsellino (interpretati rispettivamente da Ennio Fantastichini e Giorgio Tirabassi), dal 1980 al 1992. Nel 2008 Marco Risi è il regista de L’ultimo padrino, miniserie televisiva con protagonista Placido nei panni di Bernardo Provenzano: la serie si concentra sugli ultimi anni di latitanza del boss mafioso, fino all’arresto avvenuto nel 2006. L’ultimo padrino è il sequel de Il capo dei capi di Alexis Sweet ed Enzo Monteleone su Totò Riina, di cui Provenzano fu il successore alla guida di Cosa Nostra, dopo l’arresto di “U curtu” negli anni Novanta del secolo scorso. Infine, la serie Squadra antimafia – Palermo oggi è incentrata sulle vicende della Duomo di Palermo, impegnata a contrastare la lotta fra i boss delle vecchie famiglie mafiose, fuggiti all’estero negli anni Ottanta, e le nuove famiglie egemoni nel capoluogo siciliano.

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