Bruce Springsteen – Wrecking ball

“Grandi speranze deluse”: potrebbe essere questo il sottotitolo dell’ultimo lavoro di Bruce Springsteen. Nonostante le premesse iniziali, agli occhi del sessantatreenne rocker del New Jersey, l’America obamiana non s’è rivelata poi molto distante da quella raccontata in Born to run (1975), The river (1980), Born in the USA (1984) o The ghost of Tom Joad (1995): una «land of the free» in cui «the banker man grows fat / the working man grows thin». Un film già visto, insomma. E così Wrecking ball, diciassettesimo album di studio, aggiunge un altro tassello all’epopea tragica che il Boss ha tracciato in quarant’anni di carriera, ritratto di un Paese in cui il tanto celebrato “Sogno” è destinato, per i più, a rimanere un ideale irraggiungibile.

Coadiuvato da quel che resta della E Street Band (Steve Van Zandt, Max Weinberg, Patti Scialfa) più un nugolo di session-man, e diretto da Ron Aniello (subentrato a Brendan O’Brien), Springsteen ha confezionato una manciata di ballate in bilico tra rabbia (contenuta, a dire il vero) e redenzione. Più che sulle tracce dei “tramp” di Born to run, siamo al seguito della carovana delle Seeger sessions (2006): se infatti We take care of our own apre il disco all’insegna di un rock classicamente springsteeniano, Shackled and drawn e Death to my hometown si nutrono di umori marcatamente Irish-folk, mentre Easy money sta tra country e gospel. La pensosa ninna-nanna pianistica di Jack of all trades e l’accorata preghiera diThis depression (entrambe arricchite da un featuring di Tom Morello), preparano il terreno per per il country-rock della title-track, che suona la carica e inaugura la seconda metà del disco, quella dedicata alla rivalsa. I brividi veri, però, arrivano con la galoppata di Land of hope and dreams (scritta nel 1988), in cui spunta il sax di Clarence Clemons, scomparso, lo ricordiamo, nel giugno dello scorso anno.

«And though our bodies lie alone here in the dark / Our spirits rise to carry the fire and light the spark / To stand shoulder to shoulder and heart to heart»: We are alive chiude programmaticamente il cerchio (e il disco) così, con un inno di speranza la cui melodia cita espressamente Ring of fire di Johnny Cash. Wrecking ball, insomma, non è la “palla demolitrice” musicale/ideologica di Springsteen, ma è comunque un disco onesto, fatto di cuore, muscoli, sangue e cervello. E anima. Il “Boss” nella sua essenza più pura, insomma.

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